mercoledì 30 dicembre 2020

ATTUALITÀ DELLO STIGMA PSICHIATRICO

 

PREVENZIONE E LOTTA ALLO STIGMA

 Nella diagnosi infermieristica rintracciamo i segni dello

stigma della diagnosi psichiatrica

 Un punto di vista trans-psichiatrico. Non è una questione di traduzione. Se l’Infermiere in Salute Mentale deve partecipare dello stigma di una diagnosi psichiatrica. Al di là dell’etichetta psichiatrica. L’Infermiere è responsabile dell’Assistenza Infermieristica della persona portatrice di un Di.Re. o di un Gra.Di.Re. Accoglie la metodologia assistenziale che fa propria l’Autogestione del Disagio Relazionale proposta dalle strategie della Recovery e dell’Empowerment. I dati di un processo di stigmatizzazione costituiscono l’anamnesi per la diagnosi infermieristica di Sindrome da stigma. L’investitura di “Malato Mentale”.

Niente di nuovo. Lo sappiamo, lo viviamo tutti i giorni con le persone che a noi si affidano per problematiche del Disagio Relazionale; per noi Infermieri della Salute Mentale è veramente troppo deludente oltre che ulteriormente problematico quando il Paziente ci presenta il problema, realistico, squalificante, dello stigma, mentre constatiamo che un tale pregnante risentimento viene, a sua volta, considerato anch’esso sintomo della stessa “malattia”, della stessa patologia. Eppure, diventa complicato, oltre che conflittuale, un intervento funzionale in tal senso.

Ci mordiamo veramente le dita: se da un lato non possiamo non prendere atto della diagnosticata “Malattia Mentale”, comunque categorizzata, dall’altro non vogliamo ignorare – almeno non dovremmo – la quotidiana evidenza di quella che ha tutti i connotati per essere definibile come Sindrome dello stigmatizzato. Questo mentre ci si rivolge l’invito ad un intervento manipolativo sia su quanto il Paziente vive quotidianamente sia su quanto noi notiamo e verifichiamo, poco dignitoso per noi oltre che per il Paziente. Non c’è proprio niente da fare? Almeno una riflessione ce la dovremmo consentire. È poco, sicuramente; anzi niente, rispetto a quello di cui c’è bisogno.

La malattia è certamente fenomeno doloroso, non solo in quanto è determinata da un riscontrabile, definibile, identificabile quanto evidenziabile dato di patologia ma anche e prima di tutto per il vissuto che di essa ne ha il portatore e la famiglia oltre che l’entourage comunitario più prossimo. La “malattia”, sostenuta da una diagnosi, in Psichiatra è stata di una certa inquietante sofferenza integrativa del vissuto di sofferenza già attribuibile alla condizione di Disagio Relazionale che la persona ha vissuto. In Psichiatria si dice “malattia” e si legge “follia”, “pazzia”, “malattia mentale”, “schizofrenia”, “pericolosità sociale”... e tutte la altre e diverse categorie espressione dei più negativi e socialmente terribili connotati, che per secoli l’Istituzione Psichiatrica ha accumulato a scapito delle persone che gli sono state affidate in cura, il cui prioritario effetto, lungi da un qualche valore terapeutico, è stato quello di etichettatura stigmatizzante per chi fosse stato diagnosticato come “malato mentale”. Le cose non vanno meglio nell’Istituzione della Salute Mentale anche per chi, almeno nella teoria, continua ad essere diagnosticato non più per malattie mentali ma, oggi, per “disturbi mentali” (Cfr. DSM) mentre nella quotidiana pratica relazionale è rimasto ed è concepito e considerato come il “malato mentale” di sempre.

Allora l’Infermiere che lavora in Salute Mentale che, pur non facendo certamente diagnosi psichiatriche né diagnosi di “malattia mentale”, si trova giornalmente a dover assistere la persona sofferente anche per i prepotenti effetti collaterali di tale diagnosi, un qualche quesito se lo deve porre e se lo pone, specie quando già dai primi dati anamnestici infermieristici si mette in evidenza una radicata e mal funzionante risposta alla sofferenza che ha tutte le caratteristiche della Sindrome dello Stigmatizzato. E questo l’Infermiere lo sa, perché lo nota e lo vive tutti i giorni ma, tra lo stravagante Potere dello Psichiatra e il disamoramento nei confronti di una presa di responsabilità sia nei confronti della sua stessa professione sia nei confronti dello stesso Paziente, tende ad ignorarlo preferendo comprarsi la pace o riducendosi ad una pace coatta. Cosa diversa dell’autonomia professionale infermieristica, a sua volta cosa diversa da un atteggiamento da mini Psichiatra di cui l'infermiere non ha proprio bisogno. Niente di nuovo. Solo il tentativo di una riflessione sull’attualità del vecchio stigma del “Paziente psichiatrico” nella nuova “Salute Mentale”. Il vecchio stigma della Psichiatria nella nuova Salute Mentale.

 

SINDROME DELLO STIGMATIZZATO

 Un punto di vista trans-psichiatrico al di là del carattere dominante della “Malattia Mentale”.

 

PREVENZIONE E LOTTA ALLO STIGMA

 Nella diagnosi infermieristica rintracciamo i segni dello stigma della diagnosi psichiatrica

giovedì 6 agosto 2020

UN BALLO CONTINUO TRA RIMORSO E RIMOSSO




Con ‘Retablo della Tarantola’ pensavo che il ripetersi periodico della sintomatologia della Tarantola che ancora mi possiede si fosse, se non altro, attenuato e allontanato. Speranze perdute. Tregua non me ne lascia mentre, periodicamente, si ripresenta in tutta la violenza richiedendomi, anzi, imponendomi la ripresa della terapia attraverso un ballo compulsivo, stancante, tra sudori ed ardenti dolori. ‘Tarantola Ballerina’ è ancora un sintomo del rimorso, come da modello demartiniano secondo il quale nella recondita caverna della mia anima giace irrisolto un qualche conflitto. Uno solo? Tonnellate di irrisolto per la cui scalpitanza, se le bestie nere si scatenassero in contemporanea, non solo potrei ballare, se pure trovassi chi suona per me, per secoli senza sosta e senza posa ma anche senza speranza di conquistare orizzonte di risoluzione alla mia sofferenza. Nella mia costante perdita della presenza non posso allora che ripensare a De Martino.

Se la perdita della presenza, prima di prendere l’irrecuperabile via della follia, cerca il suo orizzonte di risoluzione nella Tarantola, è necessaria una svolta, dalla Tarantola al valore. Per meglio dire, dalla follia al valore. Traduzione che sarebbe di inequivocabile salutare sublimazione. Più semplici e pratici di così si potrebbe anche morire. Intanto, se non altro per complicarsi la vita, c’era da chiedersi perché mai il Brundusium, a distanza di più di settant’anni, rappresentasse per il tempio interpretativo di De Martino una tale spina nel fianco da richiedere un attacco vergato tra le righe più critiche de La terra del rimorso.

Ernesto de Martino, nel suo monumento alla ‘taranta’ simbolo semovente conclude già in premessa dichiarando né Latrodectismo né malattia psichiatrica. Nonostante tale conclusione quasi insignificante appare la sua scelta di richiamare le attenzioni della Neuropsichiatria, e l’unica era quella manicomiale, sulle manifestazioni cliniche dei Tarantolati. Ritenuta non in grado di dar conto del Tarantolismo, criticando la prospettiva medica, critica e discredita sia il lavoro che la persona dell’Antropologo Brundusium (Giuseppe Chiaia) che aveva scritto di ‘Tarantolismo’. A settant’anni di distanza, fuori della letteratura strettamente medica, perché il malizioso Brundusium gli aveva dato pensiero al punto da doverlo squalificare proprio mentre squalificava la prospettiva medica. Incuriositi dallo sprezzante De Martino, andando a rileggere il Brundusium, sembra proprio che le sue considerazioni fossero rivolte all’Etnologo a venire e chissà che la stessa sensazione, come una ‘taranta’, non si fosse impossessata di De Martino. Forse che Brundusium aveva avuto l’intuizione di un fenomeno più complesso che avrebbe richiesto un occhio diverso necessario ad unificare le mille sfaccettature del diamante nel rappresentare il Tarantolismo quale fenomeno complesso nella sua unicità?

Con Brundusium e l’attacco di De martino, inconcludenti e inconclusivi, rimaniamo convinti dell’idea di un fenomeno non riducibile né al Tarantolismo dell’uno né al “tarantismo” dell’altro. Tutto qui? Per niente. Consapevoli ancora siamo di quanto provocatoria possa sentirsi la nostra idea dell’unicità e dell’unitarietà di quel diamante nella sua caleidoscopica sfaccettatura. Per non dire dell’arrogante quanto impertinente invito a rivedere il Tarantolismo possibilmente senza la compulsiva necessità di liquidare la Tarantola “compaesana” che dal centro della sua tela continua inascoltata a gridare la sua funzione nel reggere le fila del fenomeno. (Leggi)


TARANTOLA BALLERINA

Da Brundusium a De Martino

dal pane alla carne dal sangue al vino