martedì 17 luglio 2012

MALATTIA MENTALE?


AL DI LÀ DI
ERNESTO DE MARTINO

Cura guarigione autoterapia
nel tarantolismo

         De Martino per trovare il “tarantismo” abbandonò da tanti punti di vista il tarantolismo squalificandolo a fenomeno di pertinenza della Neuropsichiatria. La sua, solo per alcuni fu l’ultima parola. Per altri il concedersi allo scazzicare della propria tarantola.
Tra gli scazzicati sul nostro cammino abbiamo incontrato Romualdo Rossetti. E chi è costui? Non importa. Con simpatia e interesse abbiamo letto il suo “saggio di ermeneutica
In altre occasioni, irrefrenabilmente scazzicati da quanto l’etnologo ci racconta del suo lavoro sul campo, abbiamo voluto, se non altro, porci delle domande su quelle che noi sentiamo come evidenti dissonanze incontrate su La terra del rimorso. Per questo motivo come Redazione del “Progetto Contraria-Mente” non vogliamo ora ignorare la lettura del saggio di Rossetti attraverso due lavori integrabili. Tarantismo salentino e antico culto ellenico di Asclepio e Nel nome di Asclepio il tarantismo oltre la lettura di Ernesto De Martino.
Per Romualdo Rossetti l’idea di malattia e di guarigione a carattere pre-ippocratico era ancora presente nell’immaginario collettivo di alcune classi sociali del Salento. Questa idea, non considerata da De Martino, può essere l’occasione di una lettura nuova del tarantolismo che esce dalla decodificazione da ultima parola su cui De Martino ci ha fatto tribolare.

«È doveroso ribadire che l’interpretazione demartiniana (…) non possa più essere considerata come l’unica interpretazione degna di menzione alla luce delle nuove scoperte archeologiche ed antropologiche. (…) Oggi possiamo invece supporre, se non addirittura provare archeologicamente e filologicamente parlando, che il tarantismo altro non rappresenti e testimoni se non l’eco lontana di una pratica terapeutica coreutico-musicale ancestrale molto diffusa nei santuari della guarigione di tutta la Magna Grecia ed oltre. (…) Gli sarebbe bastato interpretare con più attenzione le stesse critiche del Serao quando affermava che il tarantismo non dipendeva affatto dall’intossicazione del morso della tarantola ma, al contrario, unicamente dall’indole endemica dei Pugliesi. (…) Gli sarebbe bastato poco per intuire che il tarantismo come catarsi dall’oistros, come esorcismo coreutico-musicale affondava le sue radici nella protostoria locale della Magna Grecia. (…) Se soltanto avesse notato. (…) Se non si fosse soltanto soffermato (…) Se solo De Martino si fosse soffermato un attimo a considerare il valore simbolico
«L’oistros, ancora pochi decenni addietro, veniva sì considerato una scalfittura sulla pelle dello sventurato ma soprattutto era vissuto come un segno sacro impresso a fuoco nella coscienza del prescelto ed un richiamo. (…) Nascondeva quella ferita ancestrale che dimorava da millenni nell’inconscio collettivo della gente di Terra d’Otranto. (…) Chi incorreva nella disavventura di una puntura rischiava di trasformarsi, ancora ai tempi di De Martino, in un pharmakòs soprattutto se non si sottometteva volontariamente alla cura che nulla aveva di scientifico, perché il mittente della stessa non era di questo mondo. (…) Non sempre, a grazia ottenuta, si era salvi del tutto e completamente immuni da quel richiamo ancestrale.»
Ecco, per Romualdo Rossetti sembra che De Martino non ne abbia azzeccata una, non nella spiegazione ma nemmeno nell’interpretazione del tarantolismo. Per questo motivo propone la sua ipotesi sulle sorprendenti analogie sincretiche tra di culto di Asclepio ed il tarantismo salentino. Una nuova ipotesi d’indagine che sembra voler ridare respiro ad altre possibilità di una ricerca trans-demartiniana rimasta asfittica e asfissiata dall’impronta da ultima parola lasciata sul fenomeno da De Martino.
Rossetti senza mezzi termini si chiede: «Ciò che lascia oggi sorpresi è però, come mai, uno studioso delle religioni attento, intelligente ed intuitivo come Ernesto De Martino abbia trascurato di esaminare il culto di una importantissima pratica medica delle origini e la sua probabile sovrapposizione sincretica in un altro rito nel corso degli anni.»

- Nel nome di Asclepio il tarantismo oltre la lettura di Ernesto De Martino, di Romualdo Rossetti


La Redazione del "Progetto Contraria-Mente"

sabato 7 luglio 2012

MUSICA E TARANTOLISMO


MUSICA DAL BARBIERE ALLA RIANIMAZIONE

 
L’unghia del mignolo era lunga, affilata, pulita e curata. Già raccontava della professionalità del barbiere. Non nella barba. Nella patologia. All’apice d’un mignolo sollevato attraverso l’anello di una forbice, a destra, o libero sulla sinistra che, tra pollice, indice e anulare, accompagna la danza del pettine dentro il pelo, al ritmo del taglio delle lame e della forbice; culminante nella battuta del colpo di forbice sul pettine a scaricarne il grosso, quell’unghia, arma letale, attrezzo multi uso, era anche bisturi e segno distintivo dei poteri della mano del cerusico. Tra i cerusici c’erano i barbieri. Gente che, oltre che di pelo e contropelo, si occupava di terapia facendo un lavoro con le mani. A fianco a muratori e becchini, nell’ultimo tarantolismo li troviamo che, oltre a operatori del rasoio e della forbice, sono operatori della musica. Sempre terapeuti di mano fino a farsele sanguinare con orgoglio sugli strumenti alla ricerca della terapia giusta nella giusta posologia che avesse portato a guarigione il malcapitato punto dalla tarantola. Quella musica dal salone del barbiere, al capezzale dei tarantolati è arrivata al capezzale della rianimazione di tanta gente in coma.
Al di là di quanto potevano ipotizzare le interpretazioni di De Martino mai sostenute da spiegazioni del fenomeno, documenti e narrazioni varie portano fino a noi un tarantolismo in tutta la dignità di terapia vera e propria, in una dimensione comunitaria come qualità fondamentale di quegli uomini e quelle donne che con la tarantola animalesca o fantastica si sono intossicati, hanno ballato, hanno guarito.
La cosa magica del tarantolismo era che quegli individui com’erano capaci di farsi pungere così erano capaci di guarire. Dopo essere stati punti era solo con quella specifica terapia che erano in grado di rianimarsi e riaversi.
In quel fenomeno c’era qualcosa che curava e qualcosa che guariva. I pugliesi, per il tarantolismo, furono gli ultimi terapeuti di se stessi. La girandola delle ipotesi è continuata, ma quella terapia come la conoscevano i tarantolati non l’ha conosciuta più nessuno. Nessuno degli ipotizzatori, dei suppositori e supponenti, oltre alla squalifica del fenomeno, s’è saputo, ma nemmeno potuto, prendere la responsabilità di spiegare i meccanismi del tarantolismo, le dinamiche della guarigione, il significato. Cosa del tarantolismo curava e aveva curato per secoli e perché? La risposta era veramente semplice. Solo gli scimuniti potevano non arrivarci: non essendo reale il ragno, reale non poteva essere né la puntura, né il veleno né tantomeno la terapia. Altrimenti detto: essendo un delirio la tarantola, un delirio doveva essere tutto ciò che ad essa seguiva, terapia compresa. Come, dopo tali conclusioni, un delirio sarebbe pretendere di rispondere al cosa della terapia curasse e al perché. Altro delirio: come il setting coreutico-musicale-cromatico curasse e guarisse, non solo al di là di ogni lettino e di una relazione duale ma perfino comunitaria, e perché i conflitti psicologici irrisolti scalpitanti col pericolo di far scoppiare il soffitto dell’inconscio dentro la camera della coscienza distratta da altro?
Ne “La terra del rimorso” De Martino ci racconta, oltre che d’un tentativo di smitizzazione e d’un’azione di squalificazione del tarantolismo, delle dissonanze che, riferendoci al suo stesso linguaggio, non potremmo che definire “simbolo” inequivocabile della prospettiva della sua ricerca. Un capitolo chiave per la lettura di tutto il documento può essere quello dell’autonomia simbolica del tarantolismo. Quelli che ai tempi dell’etnologo erano i misteri terapeutici della musica li ritroviamo, meno misterici, come coterapeutici, in situazioni di un diverso ammalamento. Si può liquidare, incomprensibile e mitologica per quanto sia ma in ogni caso terapeutica, la pratica odierna del portare la musica ai piedi del letto delle persone in coma che vivono la più tragica condizione di perdita della presenza? Non si sa mai. Si tratta di musiche diverse in contesti diversi e di nessuna analogia con la musica dei tarantolati?

MI RI-ARMU  -  RISVEGLIATI RIANIMATI RIAVUTI (Leggi tutto)