giovedì 6 agosto 2020

UN BALLO CONTINUO TRA RIMORSO E RIMOSSO




Con ‘Retablo della Tarantola’ pensavo che il ripetersi periodico della sintomatologia della Tarantola che ancora mi possiede si fosse, se non altro, attenuato e allontanato. Speranze perdute. Tregua non me ne lascia mentre, periodicamente, si ripresenta in tutta la violenza richiedendomi, anzi, imponendomi la ripresa della terapia attraverso un ballo compulsivo, stancante, tra sudori ed ardenti dolori. ‘Tarantola Ballerina’ è ancora un sintomo del rimorso, come da modello demartiniano secondo il quale nella recondita caverna della mia anima giace irrisolto un qualche conflitto. Uno solo? Tonnellate di irrisolto per la cui scalpitanza, se le bestie nere si scatenassero in contemporanea, non solo potrei ballare, se pure trovassi chi suona per me, per secoli senza sosta e senza posa ma anche senza speranza di conquistare orizzonte di risoluzione alla mia sofferenza. Nella mia costante perdita della presenza non posso allora che ripensare a De Martino.

Se la perdita della presenza, prima di prendere l’irrecuperabile via della follia, cerca il suo orizzonte di risoluzione nella Tarantola, è necessaria una svolta, dalla Tarantola al valore. Per meglio dire, dalla follia al valore. Traduzione che sarebbe di inequivocabile salutare sublimazione. Più semplici e pratici di così si potrebbe anche morire. Intanto, se non altro per complicarsi la vita, c’era da chiedersi perché mai il Brundusium, a distanza di più di settant’anni, rappresentasse per il tempio interpretativo di De Martino una tale spina nel fianco da richiedere un attacco vergato tra le righe più critiche de La terra del rimorso.

Ernesto de Martino, nel suo monumento alla ‘taranta’ simbolo semovente conclude già in premessa dichiarando né Latrodectismo né malattia psichiatrica. Nonostante tale conclusione quasi insignificante appare la sua scelta di richiamare le attenzioni della Neuropsichiatria, e l’unica era quella manicomiale, sulle manifestazioni cliniche dei Tarantolati. Ritenuta non in grado di dar conto del Tarantolismo, criticando la prospettiva medica, critica e discredita sia il lavoro che la persona dell’Antropologo Brundusium (Giuseppe Chiaia) che aveva scritto di ‘Tarantolismo’. A settant’anni di distanza, fuori della letteratura strettamente medica, perché il malizioso Brundusium gli aveva dato pensiero al punto da doverlo squalificare proprio mentre squalificava la prospettiva medica. Incuriositi dallo sprezzante De Martino, andando a rileggere il Brundusium, sembra proprio che le sue considerazioni fossero rivolte all’Etnologo a venire e chissà che la stessa sensazione, come una ‘taranta’, non si fosse impossessata di De Martino. Forse che Brundusium aveva avuto l’intuizione di un fenomeno più complesso che avrebbe richiesto un occhio diverso necessario ad unificare le mille sfaccettature del diamante nel rappresentare il Tarantolismo quale fenomeno complesso nella sua unicità?

Con Brundusium e l’attacco di De martino, inconcludenti e inconclusivi, rimaniamo convinti dell’idea di un fenomeno non riducibile né al Tarantolismo dell’uno né al “tarantismo” dell’altro. Tutto qui? Per niente. Consapevoli ancora siamo di quanto provocatoria possa sentirsi la nostra idea dell’unicità e dell’unitarietà di quel diamante nella sua caleidoscopica sfaccettatura. Per non dire dell’arrogante quanto impertinente invito a rivedere il Tarantolismo possibilmente senza la compulsiva necessità di liquidare la Tarantola “compaesana” che dal centro della sua tela continua inascoltata a gridare la sua funzione nel reggere le fila del fenomeno. (Leggi)


TARANTOLA BALLERINA

Da Brundusium a De Martino

dal pane alla carne dal sangue al vino