DSM - ISTITUZIONE TOTALE OGGI
“La psichiatria da violentemente repressiva si è trasformata in democraticamente repressiva”.
L’istituzione psichiatrica oggi è ugualmente ma diversamente totalizzante; ugualmente realizza una totalizzazione attraverso forme che sono condivise e accettate come democratiche.
Quando parliamo della psichiatria oggi, per più correttamente chiamarla, attraverso la sua strutturazione, (DSM) Dipartimento di Salute Mentale, pensiamo a tutta una serie di “servizi” (che bella parola che è “servizi”!) diffusi e polverizzati sul territorio come:
(SPDC) - Servizio Psichiatrico di diagnosi e Cura
(CSM) – Centro di Salute Mentale (il cosiddetto ambulatorio)
(CD) – Centro Diurno (centro semiresidenziale di riabilitazione psicosociale)
(CT) – Comunità Terapeutica (struttura residenziale).
Poi pensiamo a Case Famiglia, Comunità Alloggio, e altre strutture che ospitano “pazienti”, chiamati, nel periodo immediatamente post-manicomiale, strutture intermedie: dovevano consentire, al “residuo manicomiale” (così gli psichiatri chiamavano le persone ancora in manicomio), dopo l’uscita dal manicomio, una sosta di scongelamento presso i loro spazi oltre i quali si prevedeva, teoricamente, un reinserimento o nelle famiglie, o in strutture a sempre più alta competenza. Dalla “180” del 1978 in poi e fino ad una definitiva dismissione, in realtà mai realizzata, che si prolunga fino al 1998 e oltre, la natura ha risolto in buona percentuale il problema delegato alle strutture intermedie: in molti, dopo innumerevoli anni di manicomio, hanno tolto il disturbo più o meno… in modo naturale.
Riusciamo a pensare poco la propria famiglia come spazio istituzionale, come spazio della psichiatria. Invece lo è; in tutte quelle situazioni in cui il manicomio si è realizzato dentro le proprie case in una condizione di totale abbandono dei pazienti e delle famiglie.
Tutte queste strutture, per analogia con le sezioni e le camerate del manicomio, realizzano e costituiscono gli spazi fisici dell’attuale manicomializzazione del territorio. E i quartieri, e le città non fanno parte di questa unità manicomiale polverizzata e invisibile?
Una nuova forma dell’istituzione totale odierna. Non tanto, e non solo, perché si conserva il concetto di “malattia mentale” che rappresenta un problema ma non è il principale problema. Non perché le persone annullate con gli psicofarmaci sono sempre, come al manicomio, rinchiuse, sempre fra quattro mura, sempre in manicomio, sempre in carcere. Può essere questa la sensazione, è vero: di essere sempre in manicomio, sempre chiuse fra quattro mura; una sensazione di chiusura, di impotenza. Ma perché oggi sotto forma di apertura si realizza una chiusura, in una condizione in cui l’apertura non è reale ma è solo fittizia. La condizione del sentirsi chiusi all’aperto è una condizione di una indescrivibile sofferenza e angoscia necessaria per aumentare la produzione e la somministrazione di psicofarmaci e scaricare tutto sulla malattia: ecco, vedete, è la malattia, come lo metti lo metti, non c’è niente da fare, è così perché è ammalato; non dobbiamo perderci tempo; l’unica cosa che dobbiamo fare è dargli un posto dove stare, rendere l’ambiente allegro e festoso, rendere una buona accoglienza sempre sotto l’occhio vigile del controllo degli operatori; realizzare un gruppo dopo l’altro che li possa contenere, intrattenere e toglierli dalla vista. È vero, la camicia di forza psichica priva di forza fisica, di ogni libertà di movimento fisico e mentale, rende inabili e rende impossibile gestire la propria persona e la propria vita. Ma non tutto sta in questa camicia di forza che ancora è visibile, ben percepibile e, volendo, anche superabile.
Allora le parole nuove dell’istituzione sono:
sorvegliati senza cella
sindrome da accerchiamento
un dispositivo capace di agire senza essere visibile
desoggettivazione
disponibilità soggettiva alla coercizione
autocoercizione
invisibilità
spazi di nuovo immobilismo
indifferenzialità tra spazio aperto e spazio chiuso
invisibilità della linea d’esclusione
invisibilità del confine tra il dentro e il fuori
comportamento da sorvegliato senza sorvegliante
incomprensione del dispositivo
deresponsabilizzazione
invalidità, immobilità, inebetimento, inerzia, sgravio di responsabilizzazione, vulnerailità, il profondo senso di isolamento nella festa continua. Non mancano comunque i metodi di controllo più rozzi, più artigianali, sui quali è anche difficile potere incidere da parte delle persone in condizioni di Disagio Relazionale: specialmente in una situazione di residenzialità o di semiresidenzialità gli operatori sanno tutto di tutti i pazienti che non si devono accorgere di tale controllo ma lo devono sentire e lo devono agire. Tutto delle persone cartellate diventa oggetto medico, di conoscenza anamnestica, di nessuna utilità ai fini della cura e della terapia ma di estrema necessità per mantenere un clima di controllo e soggezione che, a sua volta, viene giustificato, spiegato, praticato, autorizzato come necessità clinica; tutto sempre sotto il beota sorriso fraterno e amichevole di compiaciuti operatori sanitari e non; tutto sempre sotto l’occhio vigile e la benedizione della scienza.
Pier Aldo Rovatti è nato a Modena il 19 aprile 1942. Ha compiuto i suoi studi a Milano, laureandosi nel 1966 all’Università Statale in Filosofia teoretica.
Negli ultimi anni ha lavorato in stretto contatto con diversi gruppi di psicanalisti. Rovatti, filosofo, ci accompagna ad una riflessione sulla relazione che oggi c’è tra scienza ed istituzione totale. L’istituzione psichiatrica odierna, una diversa forma di istituzione totale, è il luogo di residenza della scienza medica attraverso la scienza psichiatrica.
L’istituzione psichiatrica oggi è ugualmente ma diversamente totalizzante; ugualmente realizza una totalizzazione attraverso forme che sono condivise e accettate come democratiche.
Quando parliamo della psichiatria oggi, per più correttamente chiamarla, attraverso la sua strutturazione, (DSM) Dipartimento di Salute Mentale, pensiamo a tutta una serie di “servizi” (che bella parola che è “servizi”!) diffusi e polverizzati sul territorio come:
(SPDC) - Servizio Psichiatrico di diagnosi e Cura
(CSM) – Centro di Salute Mentale (il cosiddetto ambulatorio)
(CD) – Centro Diurno (centro semiresidenziale di riabilitazione psicosociale)
(CT) – Comunità Terapeutica (struttura residenziale).
Poi pensiamo a Case Famiglia, Comunità Alloggio, e altre strutture che ospitano “pazienti”, chiamati, nel periodo immediatamente post-manicomiale, strutture intermedie: dovevano consentire, al “residuo manicomiale” (così gli psichiatri chiamavano le persone ancora in manicomio), dopo l’uscita dal manicomio, una sosta di scongelamento presso i loro spazi oltre i quali si prevedeva, teoricamente, un reinserimento o nelle famiglie, o in strutture a sempre più alta competenza. Dalla “180” del 1978 in poi e fino ad una definitiva dismissione, in realtà mai realizzata, che si prolunga fino al 1998 e oltre, la natura ha risolto in buona percentuale il problema delegato alle strutture intermedie: in molti, dopo innumerevoli anni di manicomio, hanno tolto il disturbo più o meno… in modo naturale.
Riusciamo a pensare poco la propria famiglia come spazio istituzionale, come spazio della psichiatria. Invece lo è; in tutte quelle situazioni in cui il manicomio si è realizzato dentro le proprie case in una condizione di totale abbandono dei pazienti e delle famiglie.
Tutte queste strutture, per analogia con le sezioni e le camerate del manicomio, realizzano e costituiscono gli spazi fisici dell’attuale manicomializzazione del territorio. E i quartieri, e le città non fanno parte di questa unità manicomiale polverizzata e invisibile?
Una nuova forma dell’istituzione totale odierna. Non tanto, e non solo, perché si conserva il concetto di “malattia mentale” che rappresenta un problema ma non è il principale problema. Non perché le persone annullate con gli psicofarmaci sono sempre, come al manicomio, rinchiuse, sempre fra quattro mura, sempre in manicomio, sempre in carcere. Può essere questa la sensazione, è vero: di essere sempre in manicomio, sempre chiuse fra quattro mura; una sensazione di chiusura, di impotenza. Ma perché oggi sotto forma di apertura si realizza una chiusura, in una condizione in cui l’apertura non è reale ma è solo fittizia. La condizione del sentirsi chiusi all’aperto è una condizione di una indescrivibile sofferenza e angoscia necessaria per aumentare la produzione e la somministrazione di psicofarmaci e scaricare tutto sulla malattia: ecco, vedete, è la malattia, come lo metti lo metti, non c’è niente da fare, è così perché è ammalato; non dobbiamo perderci tempo; l’unica cosa che dobbiamo fare è dargli un posto dove stare, rendere l’ambiente allegro e festoso, rendere una buona accoglienza sempre sotto l’occhio vigile del controllo degli operatori; realizzare un gruppo dopo l’altro che li possa contenere, intrattenere e toglierli dalla vista. È vero, la camicia di forza psichica priva di forza fisica, di ogni libertà di movimento fisico e mentale, rende inabili e rende impossibile gestire la propria persona e la propria vita. Ma non tutto sta in questa camicia di forza che ancora è visibile, ben percepibile e, volendo, anche superabile.
Allora le parole nuove dell’istituzione sono:
sorvegliati senza cella
sindrome da accerchiamento
un dispositivo capace di agire senza essere visibile
desoggettivazione
disponibilità soggettiva alla coercizione
autocoercizione
invisibilità
spazi di nuovo immobilismo
indifferenzialità tra spazio aperto e spazio chiuso
invisibilità della linea d’esclusione
invisibilità del confine tra il dentro e il fuori
comportamento da sorvegliato senza sorvegliante
incomprensione del dispositivo
deresponsabilizzazione
invalidità, immobilità, inebetimento, inerzia, sgravio di responsabilizzazione, vulnerailità, il profondo senso di isolamento nella festa continua. Non mancano comunque i metodi di controllo più rozzi, più artigianali, sui quali è anche difficile potere incidere da parte delle persone in condizioni di Disagio Relazionale: specialmente in una situazione di residenzialità o di semiresidenzialità gli operatori sanno tutto di tutti i pazienti che non si devono accorgere di tale controllo ma lo devono sentire e lo devono agire. Tutto delle persone cartellate diventa oggetto medico, di conoscenza anamnestica, di nessuna utilità ai fini della cura e della terapia ma di estrema necessità per mantenere un clima di controllo e soggezione che, a sua volta, viene giustificato, spiegato, praticato, autorizzato come necessità clinica; tutto sempre sotto il beota sorriso fraterno e amichevole di compiaciuti operatori sanitari e non; tutto sempre sotto l’occhio vigile e la benedizione della scienza.
Pier Aldo Rovatti è nato a Modena il 19 aprile 1942. Ha compiuto i suoi studi a Milano, laureandosi nel 1966 all’Università Statale in Filosofia teoretica.
Negli ultimi anni ha lavorato in stretto contatto con diversi gruppi di psicanalisti. Rovatti, filosofo, ci accompagna ad una riflessione sulla relazione che oggi c’è tra scienza ed istituzione totale. L’istituzione psichiatrica odierna, una diversa forma di istituzione totale, è il luogo di residenza della scienza medica attraverso la scienza psichiatrica.
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