PER UNA VITA SENZA MANICOMI
PER UNA VITA SENZA CARCERI
PER UNA VITA SENZA MANICOMI CRIMINALI
Già dall’inizio dell’anno i morti delle patrie galere sono 39.
Queste stesse carceri domani saranno eretti a monumenti d’arte.
Ciò richiede una distruzione urgente e preventiva
che guardi non alle Utilità dello Stato
ma alle inutilità della vita.
«SI PUÒ RAGIONEVOLMENTE AFFERMARE»
In una logica delle Utilità mai sovvertita
in una relazionalità di dominio mai dismessa
risorge il Manicomio Pisani di Palermo
Arrotolato a palla nudo in mezzo al corridoio era una specie di pezzo di legno con le spalle al muro la testa fra le gambe le mani sulla nuca e i coglioni piagati sul pavimento mentre su esso, inanimato, s’arrotolava e s’arrovellava la mente mia in una faccia sconvolta che niente mostrava di una scientifica osservazione né del mondo né della natura né della follia. Quella scienza che nel Manicomio vedeva e approntava tutto un utero. Quella scienza, e lui era scienziato della mente, che attraverso quell’omino si stava ponendo delle domande con le stesse risposte. In fondo. Fino all’utero. Mentre nella dotta disquisizione ci eravamo avvicinati a quel residuo d’essere umano, il fetore che emanava non si distingueva dal lezzo ambientale mentre meglio riuscivo a vederne l’anatomia ormai all’essenziale: mani lunghe affusolate in lunghe dita marroncino scuro bruciacchiato di mozziconi raccolti e rubati a coltellate terminanti con unghia secolari. Pelle di uno scuro indefinito colore variamente maculata. Gambe scarne piegate su se stesse finenti sul due residuati piedi neri come pece che sfilavano verso dita sormontate da artigli curvanti sotto il rispettivo dito del rispettivo piede. Una parola ch’è rimasta vuota, dimentichi ch’è stata piena di corpi e di vite umane, e vuota rimane. Che significa niente, il vuoto più vuoto, il non senso, se non ci si coinvolge in quelle mura, se non si degusta sorso dopo sorso ogni rivolo di sudore, merda, sangue e piscio, se non s’assaggiano le lacrime raccolte dai volti piagati d’un’umanità ferita. È meglio che se ne parli come d’opera d’arte, come monumento storico. Peccato che i monumenti siano eretti ai caduti in guerra dalle stesse mani che quei caduti hanno messo a terra. Tutto richiama, in uno straziante invito continuo, all’etica e all’estetica della distruzione necessaria. Tutto più che mai oggi riporta alla comprensione che niente, proprio niente, c’è da conservare. (Leggi)
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