venerdì 2 marzo 2012

LA FOLLIA DEL RAGNO

ROSSO TARANTA



Il libro con la copertina gialla porta da Rosso taranta a La terra del rimorso, da Angelo Morino ad Ernesto De Martino. Per la scandalosa omosessualità pur se, come il Tarantismo ma anche diversamente, cozzava contro i ritmi del modernismo De Martino non aveva individuato né nel ragno né nel Tarantismo gli orizzonti della sofferenza d’una omosessualità normalmente repressa. Questa intanto di già era caduta nel trattamento psichiatrico dove non avesse lasciato la pelle nelle violente strade dell’abiezione. In ogni caso era meglio essere morsi dalla taranta dietro la quale si celava una condizione socio-culturale che riconoscere alla base del Tarantismo anche la possibile tragedia di un’omosessualità repressa. Possibilità non riconosciuta da De Martino che diventa, per Morino, una provocazione che lo porta dal Piemonte fino nel Salento e negli stessi luoghi dove l’etnologo aveva condotto la sua ricerca e dove riscontra che il profilo di molti tarantati è lo stesso profilo di rispettivi omosessuali. Egli evidenzia come, dichiarato il Tarantismo un fenomeno delle donne, l’etnologo abbia escluso dal fenomeno sia uomini che omosessuali. Esclusione non casuale, per un attento osservatore come De Martino, ma sinistramente determinata. Morino nel Salento trova che il progetto della liquidazione del Tarantismo in tutti i suoi aspetti ha portato i frutti sperati dalla Modernità. Non certo quelli sperati dai bisogni delle comunità del Salento. Trova pure che il ragno è finito in Psichiatria. Se per le comunità pugliesi il ragno era la causa dell’enorme sofferenza che portava al Tarantismo, per De Martino questa causa non era da ricercare nel ragno quanto in una repressione sessuale e sociale che colpiva il sesso femminile in contesti sociali arretrati al punto che l’etnologo riteneva che i tarantati fossero selvaggi. Un tale legame di causa ed effetto evidenzia un punto di vista deterministico comune tra i tarantati e De Martino. Nella reinterpretazione del Tarantismo la conclusione di De Martino rimane deterministica dove il ragno viene sostituito dalla cultura che non ha né la stessa forza in senso terapeutico comunitario né la stessa funzione del simbolo. Pur se nella stessa logica deterministica l’oggetto/ragno si può anche uccidere nell’oggetto/simbolo, ma come si distrugge la cultura nella miseria della subalternità? Come si distrugge la borghesia alla base della subalternità delle classi contadine? Non si distrugge; non si deve distruggere. Si deve lasciare avanzare col modernismo e fargli spazio lì dove può trovare delle difficoltà. Gli usi e costumi delle comunità pugliesi dei tarantati, che poi altro non sono che la vita per quelle comunità, sono state individuate, additate, squalificate ad ostacolo per il progresso galoppante della Modernità. Parlava della borghesia, di classi, ma per De Martino non sembra che l’arretratezza delle classi contadine del Sud fosse da addebitare ad un rapporto di classe ma alla chiusura delle classi contadine al progresso e alla Modernità. Le letture e le interpretazioni del mito cambiano ma De Martino, abbandonando il mito e le sue possibilità di diversa e svariata lettura, entra nella vita delle comunità dei tarantati con un’azione in una prospettiva: intervenire attivamente per una liquidazione anticipata e attiva del Tarantismo. Fino a quel momento il Tarantismo era stato un fatto culturale, da allora in poi diventava un fatto di Neuropsichiatria. Ecco come allora si presenta la liquidazione del Tarantismo: come l’annientamento della cultura della comunità del Salento. Non certo liquidazione della borghesia e della logica del Capitale ma promozione di un progresso sulla testa delle popolazioni e degli individui. Forse, come una volta la Terra, la taranta avrebbe finito di essere al centro dell’universo; scalzata dalla famelicità e dalla voracità della tecnologia, del progresso, del Capitale, sostituita da una categoria nosologica e diagnostica, nuova maschera sul volto di una nuova non meglio identificata e definita entità nominata “malattia mentale”. I tarantati ricorderanno nei barbieri, nei becchini, nei muratori i loro terapeuti la cui insistenza ritmica di mani, strumenti e cuore palpitanti su corde, pelli d’animale scuoiato e strumenti soffiati riusciva, all’interno di una relazionalità empatica e comunitaria, a sollevarli dalla malattia; i “malati mentali” negli psichiatri manicomiali ricorderanno i mille trattamenti della tecnologia della relazionalità autoritaria di Dominio; le comunità, più o meno vicine al Tarantismo e noi stessi, di De Martino non dobbiamo dimenticare la terapia proposta. In tal senso è necessaria un’opera di smitizzazione e di disvelamento della rimozione. La critica di Morino ha lavorato in tal senso. Dei due autori non capiremmo bene Morino se non avessimo letto La terra del rimorso.



LA FOLLIA DEL RAGNO (Leggi)



La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud , Ernesto De Martino, il Saggiatore S.P.A., Milano 2009; Saggi



Rosso taranta, Morino Angelo, Editore Sellerio Palermo 2006; collana La memoria



L'Incompatibile

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