martedì 11 dicembre 2007

«MALATTIA MENTALE»

Cosa sappiamo con certezza?
Di G. Bonanno

Quello che si sa su quella che hanno chiamato “malattia mentale” non è un segreto, come un segreto non è quello che non si sa. Che poi tantissimi operatori della psichiatria si presentino e si propongano come profondi conoscitori della mente, può far parte delle esigenze di potere, può far parte della mala abitudine e del bisogno di porsi da parte dei tecnici in una relazione autoritaria nei confronti di si rivolge all’istituzione in cerca di aiuto, può far parte di una buona dose di stupidità umana non prescritta dalla professione ma non è certo parte di quanto la stessa scienza sostiene.

Cosa sappiamo della “malattia mentale” questa volta ce lo facciamo dire da due eperti del mestiere, due professionisti del Niguarda di Milano, non certo in una prospettiva antipsichiatria, Angelo Cocchi e Anna Meneghelli, che se lo sono chiesti in L’intervento precoce tra pratica e ricerca – Manuale per il trattamento delle psicosi all’esordio; Centro Scientifico Editore S.r.l., Torino, 2004.
Riportiamo alcune conclusioni a cui si trovano di fronte quando si chiedono quale può essere l’aiuto che si può portare a persone in un momento ritenuto di esordio di un Disagio Relazionale. Si trovano a dover concludere, come ha fin’ora concluso la ricerca, con un’elencazione di ipotesi e solo ipotesi non confermate dalla ricerca. Quella serie di non confermate ipotesi, una tra le tante, ci porta alla conclusione, se volete pure provvisoria, che sulla cosiddetta malattia mentale, al momento attuale, non sappiamo niente. Conclusione pessimistica? Forse. Più corretta dell’altra che non solo spaccia le non confermate ipotesi per verità raggiunte ma opera e operaziona come se quelle ipotesi teoriche potessero rappresentare una solida base giustificante una conseguente pratica.
Angelo Cocchi è Psichiatra. Responsabile "Programma 2000" presso Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano.
Anna Meneghelli è Psicologa Psicoterapeuta, Coordinatore scientifico e metodologico "Programma 2000" dell’Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Cà Granda, Milano


Fattori di rischio di Angelo Cocchi


Indagini in corso. «Sappiamo che molti ricercatori hanno indagato e stanno indagando, per percorsi diversi, le condizioni più frequentemente associate alla malattia: età, genere, influenze genetiche, sofferenza prenatale e perinatale, influenze ambientali stagionali, anomalie o ritardi nello sviluppo motorio e neurologico, deficit della memoria a breve termine, deficit dell'attenzione, scarsa competenza sociale, alterazione del pensiero formale, instabilità dell'ambiente affettivo in cui il bambino ha svolto i primi passi, traumi cranici, azione di sostanze, condizioni ambientali. Anche alcune caratteristiche della famiglia di origine, quali la comunicazione distorta, uno stile di rapporti affettivi improntato alla negatività, al criticismo e all'intrusività sono associate, in modo non chiaro se come causa od effetto, ad un maggior rischio per la schizofrenia (Warner & De Girolamo, 1995).»

Una malattia senza determinanti

«Nessuna delle condizioni sopra riportate può essere considerata determinante ma ognuna di esse può configurarsi come un fattore di rischio in quanto associata in maniera statisticamente significativa alla malattia (McGrath, 2003). Tutto ciò suggerisce che la psicosi schizofrenica consista in una situazione complessa, risultato dell'interazione di influenze genetiche ed ambientali (Sullivan, 2003).»

Psicosi e ipotesi genetica

«I progressi della genetica delle malattie mentali così come in altre malattie complesse sono stati molto più lenti di quanto ci si potesse aspettare (McDonald & Murphy, 2003) e la ricerca sistematica di geni legati alla vulnerabilità per le psicosi è risultata impossibile con le tecniche classiche. Ciò non di meno, anche in ragione di nuove tecniche di genetica molecolare, vi è una ragionevole speranza in futuri progressi nell’identificazione di geni modulatori del rischio di schizofrenia (Maier et al., 2002)»

Psicosi e ipotesi neuropatologica

«Il primo studio sui fattori di rischio che ha previsto una valutazione nel tempo è stato il New York Infant Study (Fish et al., 1992) avviato negli anni cinquanta con follow-up anche a trent'anni: formulando l'ipotesi che la schizofrenia sia associata ad una alterazione della maturazione del sistema nervoso centrale ha messo in evidenza un difetto della neurointegrazione nel campione preso in considerazione a fronte di una sostanziale assenza di tale alterazione nel gruppo di controllo. […] La base neuropatologica della vulnerabilità alla schizofrenia è molto probabilmente da ricercare in uno sviluppo alterato della rete neuronale (Falkai et al., 2002) ma le ipotesi sul neurosviluppo restano formulate in modo e non risultano convincenti.»

Psicosi e ipotesi di lesioni cerebrali

«Le speranze sollevate dagli studi più recenti non devono farci incorrere nell’errore di individuare facili scorciatoie, scambiandole per certezze. Parnas e Carter (2202) mettono in guardia nei confronti delle semplificazioni e dagli entusiasmi collegati ad importanti ma non definitive acquisizioni riguardo a possibili lesioni cerebrali evidenziate con tecniche strumentali sofisticate: la schizofrenia sembra essere il punto di arrivo di una graduale evoluzione che inizia nella prima infanzia e che si manifesta in vario modo in ambito affettivo, cognitivo e motorio. Una visione settoriale delle ipotesi che mettono in campo alterazioni dello sviluppo neurologico, quale quella neuroanatomica, è insoddisfacente e urta contro conoscenze acquisite sulla malattia. Gli Autori suggeriscono percorsi di pensiero e di ricerca più ampi, rammentando che le alterazioni neurocognitive dell'adulto malato costituiscono un fenotipo importante ma contingente che non costituisce l'essenza della malattia, dato che è spesso assente in tipici casi di schizofrenia. Allo stato attuale (Schröder et al., 2002) i dati disponibili ci permettono di dire che la schizofrenia non è generalmente associata a danni progressivi del tessuto nervoso centrale anche se modificazioni in area temporale e frontale possono essere presenti in sottogruppi di pazienti e/o in certe fasi della malattia.»

Psicosi e ipotesi di complicazioni ostetriche

«In un articolo che prende in considerazione due meta-analisi e quaranta studi diversi riguardanti le complicazioni ostetriche e il successivo sviluppo di schizofrenia (Dalman, 2003), l'autrice afferma che le evidenze confermano l'associazione tra malattia e complicazioni ostetriche, siano esse pre-, peri- o post-natali, ma non sono ancora noti i meccanismi sottostanti che potrebbero avere un comune percorso finale (ipossia, ipoglicemia, iperbilirubinemia?). Anche Verdoux e Sutter (2002) mettono in guardia nei confronti degli schematismi semplificatori che inducono a collegare in modo diretto la psicopatologia della madre o i traumatismi ostetrici con un alto rischio di psicosi.»

Psicosi e ipotesi di trauma cranico

«Una review (Zhang & Sachdev, 2003) riguardante i traumi cranici e lo sviluppo di disturbi psicotici evidenzia il fatto che il rischio di disturbi psicotici simil-schizofrenici cresce dopo un trauma, senza tuttavia poter giungere ad una conclusione generalizzabile.»

Psicosi e ipotesi di relazione con stagioni e latitudine

«Un'altra review (Davies et al., 2003) analizza […] rilevando un numero maggiore di malati tra coloro che sono nati nella stagione fredda e una modesta ma significativa correlazione tra la stagione e la latitudine, con variazioni nelle diverse latitudini. McGrath (1999) suggerisce l'ipotesi che le variazioni del livello ematico di vitamina D, legato alla stagione e ai ritmi solari, possa influire sullo sviluppo del sistema nervoso. La conclusione degli Autori è ancora una volta, un incoraggiamento ad approfondire l'argomento.»

Psicosi e ipotesi di infezioni

«Tra questi fattori le infezioni, come quella influenzale, sono state estesamente studiate (Jones, 2002) e i dati confermano che l'esposizione ai virus neurotropi si associa con danni al sistema nervoso quali l'epilessia, il ritardo mentale e le psicosi. Anche la meningite (Cattaz et al., 2002) rientra nel vasto ed eterogeneo gruppo di fattori ambientali che aumentano il rischio di psicosi nell'adulto.»

Psicosi e ipotesi di uso di sostanze

«Per quanto riguarda l'uso di sostanze, in particolare della cannabis […] molti studi confermano l'associazione tra uso di sostanze e schizofrenia anche se gli studi epidemiologici sino ad ora condotti non danno prove certe lasciando intravedere sottostanti fattori biologici e sociali (Sheldon, 2003).»

Psicosi e mille ipotesi ancora

«Controversa è la correlazione tra condizioni di stress prenatali e rischio di schizofrenia: negata da alcuni (Selten et al., 2003), considerata possibile da altri. Esiste un'ampia letteratura che, oltre a confermare i dati dell'OMS sulla miglior evoluzione della schizofrenia nei Paesi in via di sviluppo, tenderebbe a dimostrare il maggior rischio di ammalarsi nelle aree urbane; inoltre questo rischio si ridurrebbe per i bambini in giovane età le cui famiglie si trasferiscono in aree a minor urbanizzazione e viceversa aumenterebbe nel caso di trasferimenti in centri urbani (Mortensen & Pedersen, 2002). Cosi come vi è una ragionevole certezza (Harrison & Eaton, 2002) che l'emigrazione aumenti il rischio di psicosi, soprattutto nella seconda generazione, e che il fenomeno non sia legato a un bias selettivo della popolazione emigrante. In proposito, i dati riguardanti l'incidenza della schizofrenia nei Paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo non sono conclusivi (Bresnahan et al., 2003) mentre le evidenze sull'esito sono più chiare e convincenti: l'incidenza della diagnosi di schizofrenia definita in modo ristretto non presenta rilevanti diversità, mentre una definizione estensiva mostra una più ampia incidenza nei Paesi in via di sviluppo.»

Un fattore di rischio sicuro: gli operatori

L’esame sintetico sulle alcune delle ipotesi alla ricerca di cause e di correlati anatomopatologici della malattia mentale (di cui la schizofrenia è stata considerata massima espressione) conclude prendendo atto che, ancora oggi, ci troviamo solo di fronte ad ipotesi. Nella seconda parte dell’articolo, Cocchi abbandona le ipotesi e, per rispondere alla domanda originaria da cui era partito «Cosa sappiamo con certezza?», sostiene: «Vi sono due altri possibili “fattori di rischio” che vogliamo proporre per una riflessione: riguardano il mondo degli operatori.» Continua proponendo le problematiche dello stigma e le problematiche dell’inerzia al cambiamento.

E siamo non più di fronte ad un’ipotesi ma ad una certezza storica. In tutta la storia della psichiatria, a partire dall’alienistica fino ai giorni nostri, mentre da un lato s’è cercata la mai trovata causa organica di malattia, con promessa di rimozione, dall’altro non si è stati mai decisi a rimuove una sicura causa di malattia: gli operatori, diversamente e variamente chiamati a seconda del periodo storico. Gli “operatori” sono stati, e sono, non solo ipotetici fattori di rischio ma rischio reale e agente. Gli operatori di varia tipologia che s’incontrano in tutta la filiera del processo cosiddetto terapeutico della “malattia mentale”; per esempio quelli che hanno a che vedere con il farmaco dalla produzione, alla distribuzione, alla somministrazione fino alla bocca del malato.

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