La psichiatria riduce l’individuo al suo sintomo. Ogni azione inquietante subisce due diagnosi psichiatriche: una ambulante e una istituzionale. La diagnosi psichiatrica prima che sulla cartella clinica è pubblicata sui giornali.
Un fenomeno così complesso, grandemente significativo, come quello che ci racconta Alfredo con il suo tentativo di porre fine alla sua esistenza, così, fatto a brandelli da una bombola, se è rinchiuso e racchiuso in un’etichetta diagnostica, “depressione”, altro non esprime che, oltre allo strapotere dell’istituzione psichiatrica, la reale inconsistenza e impotenza di uno psichiatra che ha la pretesa di impacchettare un disastro di enormi proporzioni dentro una bomboniera con fiocco. Per chi lavora il giornalista che anticipa lo psichiatra con una diagnosi ambulante.
Sul Giornale di Sicilia del 19 Dicembre 2007, («Farò esplodere bombola». Racalmuto, uomo fermato.) di Alfredo Cipolla, di 38 anni, ci hanno essenzialmente detto che, volendosi fare saltare in aria con una bombola, altro non deve essere che un malato mentale. Che era disoccupato, è solo una non notizia in un articolo già esso stesso non notizia. Il grosso dell’attenzione è tratto sul fatto che:
1) ha una crisi depressiva
2) si barrica in un appartamento
3) è armato di una grossa mazza
4) vuole fare esplodere la bombola di gas
5) «Farò esplodere bombola»
6) è troppo reattivo: i carabinieri lo immobilizzano dopo grande fatica
7) è pericoloso
8) si trova piantonato in ospedale
9) sarà sottoposto ad una visita psichiatrica.
Il mostro è impacchettato. Non c’è dubbio che se si descrive una condizione di forte disagio e di panico sia per Alfredo che per chiunque si fosse trovato preso in qualche modo in quei momenti, non secondaria appare la strategia narrativa dell’articolista che attira l’attenzione su un dato, prodotto di un processo di stigmatizzazione di alcuni segni e comportamenti e per questo molto fittizio, distraendola da un altro fondamentale per capire e comprendere lo stato d’animo di un individuo che, in un gesto forte e crudele, cerca la via d’uscita da una sua triste condizione di disagio. L’articolista si trova di fronte tutta una scenografia del panico, dell’angoscia, del dolore in scena e potenziale, raccontata da personaggi, oggetti, detti, fatti e intenzioni che altro non sono che l’espressione della sofferenza e dell’angoscia di quell’individuo ma scegle di spostare l’attenzione di chi legge su un dato ipotetico: forse l’avrebbero pure diagnosticato malato mentale ma già in quell’articolo c’è già una diagnosi di strada.
Era disoccupato. Quanto basta per dire che, se non vive di rendita e se non è figlio di uno dei tanti ricchi sfondati italiani, è completamente escluso da ogni possibilità di vita e tagliato fuori dalla società dell’abbondanza.
«in preda ad una crisi depressiva» chiusosi in un appartamento voleva farla finita con una bombola di gas. Se la «crisi depressiva» è un sintomo di una malattia psichiatrica che chiamano “depressione”, se una diagnosi di depressione non l’ha posta nemmeno un non più credibile psichiatra, tutto il disprezzo di Contraria-Mente va a quell’articolista che, attraverso una diagnosi ambulante, per la quale tra l’altro non è autorizzato, contribuisce a nascondere il significato in sofferenza e tragedia che l’esclusione sociale rappresenta per chi oggi è disoccupato.
Chissà se Alfredo avrebbe potuto avere ancora interesse a se stesso, al mondo intero in una condizione in cui la vita è ridotta a meno che niente, vuoi anche da una tutta intima sofferenza dalla solo ipotizzata origine ma anche da un’aggiunta e cronica esclusione sociale o da entrambi in un mortale circolo vizioso.
L’articolista che depista dalla realtà, i carabinieri che l’hanno fermato e lo psichiatra ci dicono che si tratta di “crisi depressive”: Alfredo è stato piantonato in ospedale dove gli hanno promesso una visita psichiatrica.
Non ci aspettiamo che lo psichiatra faccia una diagnosi differenziale tra depressione ed esclusione. Quel tipo di pericolosità sociale, come quella di Alfredo, rivolta contro se stessi, pur in un atto di tentato suicidio, nella smorfia psichiatrica si chiama "depressione". Ogni condizione di malessere relazionale e sociale, proprio perché trova il suo binario preferenziale nel corpo della persona, è prima di tutto sulla persona che lascia i segni: di dolore, di sofferenza, di irrimediabile angoscia, di panico, di insoddisfazione alla vita, di tristezza, di stanchezza, di stress, di assenza di motivazione, di nervosismo continuo, di insonnia o di sogni tormentati, di pensieri ricorrenti, di allucinazioni, di incapacità di coordinazione del pensiero, di pensiero non più legato alla realtà. Il segno può essere triste fino all’atto di chiusura con la vita.
L’idea del disagio di Alfredo giunto a culmine ce la dà colui che sta annegando: nel tentativo di aggrapparsi per salvarsi, con ogni bracciata manda giù a picco il vicino che è lì per dargli una mano. Può capitare che muore il soccorritore e si salva lui. Qualche volta può perfino credere che la sua salvezza dipenda dalla distruzione altrui fino ad intraprendere un comportamento vendicativo mirante a farla pagare a qualcuno acriticamente individuato come colpevole. Se la mia sofferenza è il mondo è il modo che la deve pagare. La violenza del prezzo però non si può abbattere sul mondo ch’è concetto delirante ma si deve abbattere su un individuato oggetto del mondo, forse sull’oggetto più caro, forse perfino sull’oggetto se. Alfredo voleva saltare in aria.
Il corpo può decidere che una lunga sofferenza e una pesante esclusione si debbano sublimare in un gesto ipoteticamente salvifico; questo, se classificato dalla psichiatria, muore con tutta la persona. Allo stesso modo muore se etichettato da una diagnosi ambulante o da quella di un giornalista. Quel gesto di Alfredo, lungi dall’essere classificato come malattia mentale ha bisogno, assieme al suo autore, di essere compreso nella sua complessità. A tale comprensione non sono sufficienti né uno né più psichiatri; come non è sufficiente una diagnosi su un quotidiano.
Gaetano Bonanno
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