lunedì 5 agosto 2013

"TARANTE" VELENI E GUARIGIONI



«Scomparsa da lungo tempo la malattia» che in Puglia «era basata più nella disposizione malinconica degli abitanti della Italia meridionale, che sulla natura del veleno della Tarantola, che deve senza dubbio esser riguardato come causa remota del male, che senza la disposizione indicata sarebbesi rimasta inefficace.» Così aveva concluso già nel 1832 G.F.G. Hecker, medico plurititolato presso l’Università di Berlino come della Pontiniana di Napoli. In modo molto affine aveva concluso Ernesto de Martino nel 1961 dopo una ricerca etnografica condotta nel Salento alla fine degli anni Cinquanta. Il veleno causa remota di una malattia, scomparsa già negli anni Trenta e, a dire dell’intellettuale, quindi impossibile ritrovare nel 1959.
Nella letteratura, più o meno scientifica, che tratta di Tarantolismo, la Tarantola è proprio ballerina. Sfuggente ad ogni tavolo anatomico come ad un’attenzione entomologica che in molti tra gli studiosi non avevano, per alcuni era responsabile del fenomeno per altri no, mentre altri ancora la dichiaravano irresponsabile dove una pagina prima l’avevano vista perfino mordere se non pungere. Un andamento altalenante e ambivalente sono in tanti gli scrittori a mantenerlo; sicuramente lo mantiene anche De Martino ma non era il solo: è come se ognuno che scrivesse di Tarantola, oltre a ridurla a “taranta”, già snaturandola nel suo essere, non si sentisse il coraggio di dichiarare idiozia quanto avevano precedentemente scritto i colleghi studiosi, dei quali aveva bellamente corredato la propria bibliografia, mentre era quello che realmente pensava. Un attimo dopo, sentite i cheliceri sulla propria pelle, ritornava l’atroce dubbio: punge o non punge? Quando volevano dire, ma non sapevano dirlo, che pungeva, qualcuno incominciava a parlare di “morso”, variando così tutta la meccanica puntoria e chelicerica del ragno, e di “taranta” riducendo il ragno ad animale simbolico, privato dei suoi cheliceri, del suo veleno e della sua mala abitudine ad andare pungendo la gente.
Lungi dal voler ridurre un fenomeno complesso come il Tarantolismo ad un suo qualche emergente o intrigante elemento, la Tarantola quando può continua a pungere.
Di recente i dottori S. S. Colonna e M. Garofalo, dell’Ospedale Provinciale “Cardinale G. Panico” di Tricase (Lecce) riscontrano in una persona arrivata all’attenzione delle loro cure una “Sindrome rabdomiolitica” da puntura di ragno, la curano e la dimettono. Si tratta del sig. Oronzo che è rimasto solamente una persona punta da una Tarantola e non è stato mai definito, né mai diventato un tarantolato né tantomeno considerato tale. Alcuni suoi parenti, riscontrati in anamnesi punti dalla Tarantola anni prima, sono stati definiti “tarantolati” e sono diventati “tarantolati”. Se la sintomatologia nel tempo è rimasta di una certa stabilità e costanza è cambiata la diagnosi da “Tarantolato” a “Tarantato” a “Sindrome rabdomiolitica” da puntura di ragno. Non è detto che al cambio di diagnosi debba necessariamente seguire un cambio di trattamento.
I trattamento oggi riservato ad Oronzo non c’era fino ai tempi di De Martino e i tarantolati autocreavano e ricevevano le cure di cui erano a conoscenza per averle sperimentate da millenni. Era certamente paradossale che se vivevano costretti in subalternità, esclusione, abiezione e miseria nera all’interno di una relazionalità autoritaria, relativamente alla cura e alla terapia di quella che per loro era un’atroce sofferenza, avessero imparato a fare da loro stessi e lo facevano da millenni in un clima di solidarietà, comunitario e autogestionario dove, l’etnologo, nel 1959, a fianco della Musicoterapica e della Danzaterapia da tempo immemore terapie ufficiali per molte malattie, aveva riscontrato la “Santoterapia”: quella cura che, dal medico Asclepio, si proiettava direttamente su San Paolo assunto all’interno di una relazionalità che, criticabile per quanto si voglia, aveva una funzione terapeutica per quel tipo di sofferenza. Sicuramente più terapeutica di quanto non riusciva ad essere la Neuropsichiatria in pieno Manicomio.
Troppe dicerie, tra superstizione e religione, De Martino aveva deciso di porre fine alle frottole secolari che comunque sembra gli studiosi precedenti non erano stati in grado di evitare: il simbolo agente di un ragno simbolico scatenava nel corpo di chi veniva punto tutta una sintomatologia e una sofferenza per attenuare la quale si ricorreva alla musica, alla danza e ad un gioco di colori. Isterismo? Forse, anche se lo stesso Hecker aveva chiaramente differenziato i due fenomeni sostenendo perfino che l’Isterismo, per le sue tendenze imitatorie, inquinava il Tarantolismo. Intanto De Martino sosteneva d’aver capito che erano le donne a ricevere più facilmente degli uomini un “morso” di “taranta”; perché queste erano portatrici di un conflitto psicologico irrisolto scalpitante nelle nere segrete dell’inconscio che, per evitare, da un momento all’altro, che potesse esplodere in un comportamento sociale non più controllabile, trovava orizzonte di risoluzione in quel comportamento da lui definito “Tarantismo”.
Com’è che quel simbolo del ragno, della Tarantola, con tutta la sua gravità deterministica, simbolo agente fino a qualche anno fa, ora, nel caso di Oronzo, ma non solo, è stato totalmente ignorato, escluso, squalificato? Non esiste proprio più. Perché Oronzo, uomo e non donna, è portatore di una puntura di Tarantola e non di un conflitto psicologico irrisolto? Secondo le conclusioni di De Martino in un errore sarebbero potuti cadere questi medici dell’ultim’ora: trattandosi di un conflitto psicologico irrisolto, il loro intervento per sindrome rabdomiolitica, oltre che inappropriato, evitando un deferimento del paziente alla Neuropsichiatria, avrebbe rischiato di spingere il malessere di Oronzo verso un comportamento non più gestibile socialmente. Verso un comportamento folle.
La Tarantola aveva punto da sempre e continuava a pungere. Se di Medicina si poteva parlare, quella popolare si muoveva tra mitologia, tradizione, religione, superstizione. Chi veniva punto, al di là del sesso e dell’età, altro non desiderava che salvarsi, anche se non se la poteva garantire, quel poco della pelle e della vita che gli rimaneva.
L’etnologo De Martino sostiene che, forse, una volta ci sarà stata qualche puntura (“morso”) di ragno, qualche caso di reale Latrodectismo, a patire dal quale, col tempo, si incominciò a plasmare il Tarantismo da lui osservato nei residui: un fenomeno durante il quale le persone si comportavano come se realmente fossero state avvelenate dalla Tarantola mentre non erano state nemmeno punte.
Leggendo il libro di Ernesto De Martino, La terra del rimorso: contributo a una storia religiosa del Sud, il lettore alla fine, tra puntura sì e puntura no, si vede costretto a chiedersi: ma questo ragno punge o no? È velenoso o no? Se il ragno non punge, tutta la sintomatologia raccontata e descritta da millenni da dove mai deriverebbe? Proprio quella sintomatologia che oggi sembra trovare accoglimento in quella che viene definita “Sindrome rabdomiolitica”. Se punge e non è velenoso, tutta quella terapia cosiddetta coreutico-musicale-cromatica perché la ricercavano e la praticavano? E perché, alla fine, le Tarantolate si sentivano perfino guarite? E se già agli inizi del 1800 il ragno non avvelenava più, perché Oronzo nel 2000 viene curato per avvelenamento da Tarantola?
Dopo quarant’anni sì ma qualcuno se n’è accorto e anche pubblicamente. Se ne sono accorti gli infermieri. Fu infatti dall’incontro e confronto di due infermieri che si volle riaprire un momento di riflessione su un argomento sul quale sembrava essere caduta l’ultima parola. Fu grazie a loro che alla fine del 2000, a Lecce, presso un Centro Congressi, e a cura dell’IPASVI (Collegio Provinciale degli Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici Infanzia) si organizzò in una giornata di studio il convegno interdisciplinare “Tarante”: veleni e guarigioni - 31 ottobre 2000 - a cura di Roberto Pepe (Infermiere e Aracnologo), Michele Fortuna (Infermiere, Presidente del Collegio IPASVI di Lecce) e Genuario Belmonte (Zoologo - Università degli Studi di Lecce).
Come fa oggi il medico a confermare la puntura della Tarantola, a ritenere quella stessa sintomatologia millennaria, per finire dall’etnologo ritenuta quella di un ragno simbolico, legata questa volta ad un ragno reale, con un salto trans-de Martiniano? Non è un atto di lesa maestà? Come fa il medico, dopo tutto quello a cui un De Martino era pervenuto con la sua meticolosa ricerca sul campo con un’équipe multiprofessionale, a non vedere più nella sintomatologia della persona punta una competenza neuropsichiatrica? È possibile pensare che questa volta non ci troviamo più di fronte a persone portatrici di un conflitto psicologico irrisolto?
Queste e mille altre domande ancora ci suscitano quelle persone della Puglia in particolare. Ancora con De Martino non sembra che i bisogni della Tarantola e dei Tarantolati corrispondessero sempre a quelli dei loro studiosi che, qualche volta sembra si muovessero in una prospettiva diversa sia della Tarantola che dei Tarantolati.
Gli infermieri di Lecce sono per noi curiosi la non conclusiva occasione per un nuovo ciclo di studi e un approfondimento, questa volta si spera inutile, se non delle persone almeno del fenomeno.











a cura di



Roberto Pepe

Michele Fortuna

Genuario Belmonte



Atti del Convegno Interdisciplinare

Collegio Provinciale IPASVI Lecce “TARANTE” VELENI E GUARIGIONI




Il libro “Tarante” veleni e guarigioni può essere richiesto a:
 Collegio IPASVI di Lecce
Via Redipuglia no3 Lecce
Tel. 0832/300508 - Fax. 0832/300526
 segreteria@ipasvi-le.it
 

La Redazione