domenica 30 marzo 2008

PROCESSO ALLA PSICHIATRIA

Masino PSICOFARMACI AI BAMBINI

Il giorno 29 aprile la Corte Suprema di Cassazione Penale riprende il processo nei confronti della Dott.ssa Donatella Marazziti già condannata nei primi due gradi di giudizio.
«Firenze: il 25 ottobre 2005- Si è concluso il processo alla dottoressa Donatella Marazziti (allieva del Prof. Gian Battista Cassano il padre dell'elettroshock) con la requisitoria della Difesa; (chiesti dal sostituto procuratore Ornella Galeotti, due anni di reclusione, è come provvisionale un milione di euro come risarcimento danni. Nella attesa della lettura della sentenza prevista per il 24 di novembre. La Dott.ssa Marazziti è accusata di lesioni gravi e volontarie ai danni di una sua giovanissima paziente (Veronica) che nel 1999 si era rivolta a Lei per risolvere un problema di obesità. Aveva 11 anni. La dottoressa le prescrisse due farmaci non autorizzati senza ottenere il consenso informato come previsto dalle normative; è nel 1999 non erano ancora stati inseriti neanche nel prontuario farmaceutico del Ministero della salute.»«Somministrare ad una bambina di 11 anni farmaci non ancora testati scientificamente con l’intento dichiarato di verificarne gli effetti collaterali è qualcosa che va oltre il pur gravissimo reato penale connesso ai comprovati danni fisici provocati. E’ un attentato ai diritti fondamentali e inviolabili ed alla sacralità della vita umana. (...) Il giorno 29 aprile la Corte Suprema di Cassazione Penale, quarta sezione, si troverà a discutere il procedimento nei confronti della Dott.ssa Donatella Marazziti che, come abbiamo già ampiamente avuto modo di segnalare, è stata condannata nei primi due gradi di giudizio. (...) Antonina Triolo.»
[COMUNICATO STAMPA

sabato 29 marzo 2008

PROGETTO CONTRARIA-MENTE

Masino

UN'OCCASIONE

NÉ PSICHIATRIA NÉ ANTIPSICHIATRIA
Il “Progetto Contraria-Mente”, pur se punto di vista sulle condizioni di Disagio Relazionale, non è progetto medicalizzante. Un’occasione di critica e di lotta contro l’autoritarismo dell’istituzione psichiatrica di sempre nel suo riciclarsi all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale. Ogni lotta di emancipazione e di liberazione parte sempre dai bisogni reali e concreti degli individui. Allora un’occasione di lotta che parte dal bisogno di salute e di qualità di vita. In un metodo di lotta autogestionario, nella prospettiva e nella pratica dell’autonomia e dell’antiautoritarismo. Un’occasione, folli tra i folli, di lotta alla relazione di dominio e autoritaria e di promozione e pratica della relazione empatica in autogestione. Una lotta d’emancipazione che se ha bisogno di affinità in un metodo e in una prospettiva non ha certo bisogno di etichette. Né psichiatria, né antipsichiatria, né nonpsichiatria.
Quel nostro modo distorto di vedere la realtà, avrà sue motivazioni. Quello che ci possiamo augurare è che chi ci legge, in risposta alla nostra richiesta di aiuto, possa farlo in modo, prima di tutto, non autoritario, quindi che ci leggesse in modo corretto e nel rispetto della nostra dignità e libertà, possibilmente accedendo ad una relazionalità empatica e scartando una relazione autoritaria.
Nel settore critico c’è anche chi si chiede: scienza o non scienza, laboratorio o non laboratorio, malattia o non malattia, possiamo utilizzare le eventuali acquisizioni scientifiche sul nostro sistema nervoso in senso libertario, in senso liberatorio, in senso emancipativo, in modo antiautoritario, in una logica autogestionaria?
Non stiamo parlando di alcuna organizzazione che non è pensabile nel fittizio della via telematica. Stiamo parlando di un’occasione che fa riferimento sia al settore della sofferenza sia al settore del laboratorio. Il tentativo è quello di darsi un modo di essere per un modo per esserci non ideologico. Se tutto ciò lo vogliamo ancora tradurre concettualmente, il Progetto Contraria-Mente non è né con la psichiatria né con l’antipsichiatria, della quale spesso, molto spesso si parla a sproposito.
Con un’operazione cartesiana entrambi scindono l’individuo in anima e corpo e rivolgono la rispettiva attenzione alla psiche per la quale la psichiatria trova delle malattie, mentre nell’anti-psichiatria, alcuni trovano la malattia, altri no.
L’antipsichiatria nasce in psichiatria. Gli aspetti teorici dell’anti-psichiatria, ma anche le proposte pratiche del prendersi cura, sono nate e cresciute all’interno della stessa psichiatria dalla quale, per più di un motivo, non sono riuscite mai del tutto a distaccarsi.
L’istituzione psichiatrica si è spinta fino a promuovere la relazione autoritaria e a criminalizzare, a bocciare, ad attaccare e a bandire la relazione empatica. Il problema non è nel non essere riuscita a trovare una malattia ma nell’aver spacciato la menzogna come verità su cui fondare un’istituzione di pura e semplice gestione del dominio.
L’istituzione psichiatrica è di potere, di dominio e autoritaria indipendentemente dalla malattia ma molto di più con la malattia; infatti per essere autoritaria non ha avuto bisogno nemmeno della stessa malattia.
Riferendoci al metodo autogestionario che, anche in relazione alle problematiche del Disagio Relazionale, promuove una relazione empatica ad una relazione di potere, di dominio e autoritaria, non stiamo facendo spazio all’idea di una santa ignoranza, all’inno alla religiosità, all’incompetenza, all’inesperienza, alla rozzezza, alla disinformazione, alla mancanza di consapevolezza.
Ponendosi, Contraria-Mente, quale occasione di lotta intermedia, se da un lato è lotta per la garanzia di quanto l’istituzione, a partire dalla riforma ha promesso e mai garantito, dall’altro è anche lotta critica all’istituzione psichiatrica in una metodologia autogestionaria. In tal senso, malattia o non malattia, Contraria-Mente si relaziona con individualità, gruppi, associazioni che condividono un metodo autogestionario di lotta all’istituzione psichiatrica, ma riconoscono in ogni caso l’importanza che, in seno alla stessa lotta autogestionaria, già da ora si assuma il Disagio Relazionale come un problema proprio, del progetto stesso, non di assistenza sanitaria, non in modo medicalizzante ma dal punto di vista del muto appoggio, da un punto di vista olistico e relazionale; che riconoscano la necessità di una lotta di difesa per far sì che l’istituzione della Salute Mentale possa garantire ciò che con la riforma ha promesso e che lo possa garantire non in senso autoritario (con TSO, elettroshock, camicie di forza chimiche, ricoveri nei piccoli manicomietti sul territorio) ma in senso sanitario, libertario e nel rispetto della dignità delle persone che alla Salute Mentale si rivolgono, con un riferimento critico alle più avanzate conoscenze in materia di disagio, come libera e cosciente scelta delle persone e delle loro famiglie.
Chiunque si voglia relazionare col “Progetto Contraria-Mente” tenga conto delle affinità di metodo e di prospettiva che nell’occasione Contraria-Mente può riscontrare.
La Redazione di:

Contraria-Mente
Contraria-Mente-Nero
L’Incompatibile

domenica 16 marzo 2008

CAFFÉ SIGARETTA CAFFÉ

IL RACCONTO DI "C"
E IL
M-TSO

Mal-Trattamento Sanitario Obbligatorio

Il racconto di “C”. Il TSO, lungi dal poter avere valenza sanitaria assistenziale, è trattamento violento e autoritario. È per questo motivo che di fatto non è mai esistito il TSO che nel suo concreto realizzarsi si esprime solo come M-TSO: Mal-Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per capirlo è sufficiente chiedere a chi l’ha subito.
Il ritmo del manicomio, come il tintinnio delle chiavi pendenti dalla cintura del guardiano, come il cigolio dei cancelli del carcere. Ritmo non cambia col cambiare dello spazio che lo accoglie e lo consente. Ritmo che non cambia ora che non ti mettono più l’uniforme istituzionale. Ritmo che non cambia ora che dove c’era un direttore unico di manicomio c’è una moltitudine inflazionata di direttori, responsabili di dipartimento, responsabili di modulo, responsabili di servizio. Ritmo che non cambia ora che le chiavi si sono ridotte di dimensioni ma sono aumentate di numero.
Come non cambia il ritmo dell’esclusione quando a rinchiuderti più che le alte mura del manicomio è l’indifferenza della gente sul territorio. Rimane un fantasma all’aperto ciò che nel manicomio era un fantasma rinchiuso. Roberta aveva incontrato C. per quei pochi minuti che sono riusciti comunque a segnare la possibilità di un’intesa empatica, di una parola piena di significato e credibile nella sua profondità. La signora della piazza Verdi di Bologna, quella del 12 ottobre scorso, quella che col suo corpo degradava l’arredo urbano della città e per questo meritava un M-TSO, ha incontrato la simpatia e la solidarietà di un gruppo di impiccioni che l’hanno voluta proteggere dal trattamento che già la polizia le stava dedicando. Momenti episodici. Lì nascono, lì muoiono. Lasciano intanto spazio alla giustizia che, anche con anni di galera, riconferma di come quello della psichiatria è lo stesso ritmo delle altre istituzioni che oggi organizzano lo spettacolo di una democratica dittatura che continua a pretendere consenso alla sua produzione di morte.
Quanto la psichiatria realizza ancora di detestabile non ha bisogno di eventi occasionali. Quello che riesce a fare, sotto gli occhi della gente, lo fa con la benedizione della scienza, della legge, della giustizia… e della medicina. Lo fa non più con la non meno responsabile ignoranza di guardiani e custodi analfabeti ma con la colta complicità di una corte di operatori sanitari professionalizzati e laureati.
È indispensabile la possibilità di una difesa costante. È necessaria la creazione di Gruppi Autonomi di Difesa che abbiano la funzione di difesa concreta e reale e di mutuo soccorso nei confronti di quelle persone che la psichiatria oltre a non saper curare ha molto più ampiamente danneggiato. Che possano dare continuità all’azione di “C” e di quei giovani di Bologna.
A venticinque anni, come per Roberta, è possibile avere già alle spalle tutta una serie di M-TSO che alla persona rovinano la vita definitivamente come la stessa “malattia” non avrebbe saputo fare; come la psichiatria ha fatto nei confronti di Natale A. al quale non saranno sufficienti pianti né bestemmie e neanche rabbia a riparare quanto la mano pesante della psichiatria ha saputo realizzare.
Chi erano i mandanti dei tanti M-TSO eseguiti sulle spalle di Roberta? Chi erano i mandanti di quei poliziotti che dovevano eseguire il M-TSO per una signora che, nell’urbe bolognese, deturpava l’arredo urbano di un’Italia che ha creato come arredo monumenti di spazzatura? Sono gli stessi che hanno proposto la galera per un gruppo di persone capaci della dignità della difesa e della solidarietà con quella donna. Silenzio imposto, garanzia della privacy, M-TSO, psichiatri da cui nascondersi, poliziotti, psicofarmaci, narrazione quale sintomo da trattare psicofarmacologicamente, assenza di pur riconosciuti diritti, stigmatizzazione, totale delega all’istituzione, promozione della relazione autoritaria e repressione della relazione empatica, suicidi tentati e suicidi riusciti, bisogno per le persone di chiuderla prematuramente con la vita, sono le caratteristiche dell’attuale istituzione totale psichiatrica. Non è importante chi è “C” se non per riflettere sull’attuale democratica dittatura la minaccia della quale è sempre incombente sul collo della gente. Importante è che Roberta possa mantenere fino all’ultimo sospiro il ricordo di uno sguardo autentico, empatico che l’ha saputa incontrare mentre la psichiatria la perseguitava. Importante è che la signora del degrado urbano si sia trovata qualcuno a fianco a difenderla contro un M-TSO. Perché se una persona ha bisogno di cure deve essere sottoposta a M-TSO Mal-Trattamento Sanitario Obbligatorio? Chi sono i complici di tutto ciò? Non certo i ragazzi finiti in galera.
Su “Peggio” n° otto, Dicembre 2007, Pagine Salentine è uscito un articolo di “C”, “Caffé, Sigaretta, caffé”. Da questo momento in poi invitiamo tutti coloro che sentono una qualche affinità per le nostre posizioni a chiamare il trattamento con un nome più adeguato M-TSO: Mal-Trattamento Sanitario Obbligatorio.


sabato 15 marzo 2008

COME SI NEGA LA «MALATTIA MENTALE»

Masino
Quando gli permettevano di guadagnarsi un pezzo di pane faceva l’operaio. Per il resto le sue braccia erano in affitto tra l’angoscia della sopravvivenza giornaliera, la paura di perdere anche quel po’ che aveva e la speranza che qualche mese glielo facessero ancora fare. Questa è depressione. Una condizione coinvolgente l’individuo e la sua famiglia che è più che una malattia mentale.
Qualche giorno fa Luigi Roca si suicida nel canavesano. Dopo una vita tra stenti, sacrifici, speranze, in un situazione di continua incertezza del lavoro già non ce la faceva più. La comunicazione che non avrebbe ripreso a lavorare come lui sperava non l’ha retto più. Spiega il suo gesto come il conseguenziale sbocco di una condizione che caratterizza una popolazione di precariato. Lungi dal negare la malattia della depressione, la lotta, nei confronti della quale non sembra avere desistito fino all’atto estremo, rappresenta uno sbocco diverso sia alla depressione che alla morte stessa.
«Il suicidio può rappresentare l’esito infausto di alcune gravi patologie psichiatriche – prima fra tutte la depressione.»
Luigi Roca, ufficialmente, s’è suicidato o se n’è andato ucciso da una certa modalità del lavoro.
Ha denunciato una macchina per resistere alla quale devi essere superuomo. Se non sai resistere, per non soccombere del tutto, ti prende una specie di febbre del disagio: hai la depressione.
A questo punto il problema è come uno se la fa passare la depressione o come prova a tenerla sottocontrollo
Ha scritto: «In questo tipo di vita serve una forza che io non ho. (…) Non ce la faccio, ho perso lavoro e dignità.»
Che c’entra la psichiatria con la morte di Roca? Niente. È solo quel suicidio che la tira in ballo sulla giostra della memoria per il legame che, da sempre, la psichiatria ha creato, ritenendo che ci fosse, tra suicidio e depressione. Non c’è verso che uno, una mattina, si sia alzato e abbia potuto decidere di voler morire come più avesse gradito e come più avesse preferito, senza che la psichiatria ne avesse fatto un caso di malattia mentale, di depressione. Ma se la psichiatria giura che qualcosa c’entra dobbiamo veramente dargli fiducia. La “P11” carente. È la depressione che si traduce in una carenza di “P11”. Il suicidio nella smorfia psichiatrica è un segno di depressione. Se il problema medico della depressione consiste in una carenza di “P11”, lo psichiatra ti potrà dare un farmaco a base di “P11”, ti può controllare affinché il tuo fare non viri verso il maniacale, ma più di questo non può fare. S’illuderebbe chi s’aspetterebbe di più.
Cosa potrebbe mai fare di più lo psichiatra? Niente né lui né nessuno di quelli che non hanno avuto né il coraggio né la dignità di ascoltare Roca che meglio di tutti sapeva da dove proveniva quella depressione. Il problema non è certo dello psichiatra ma di chi si aspetta che per la sua depressione possa ricavarci più che una pillola o un elettroshock quando questa si sia protratta oltre ogni sopportazione. Lo psichiatra fa il medico. Il medico cura la malattia. La depressione è una malattia. La psichiatria niente c’entra con mondo del lavoro né questo con quella. Lo psichiatra ti cura la depressione evitando perfino che ti possa suicidare… cosa dovrebbe fare di più? Allora diventa perfino una questione di vera e propria ingratitudine che abbiamo nei confronti della psichiatria. Non siamo forse ingrati? Credo che Roca abbia voluto raccontare qualcosa ai depressi di tutti i tipi. Qualcosa che continua a rimanere fuori dalla portata sia della psichiatria che della giustizia.
Chi ha ucciso Luigi Roca?
(Leggi articolo)

sabato 8 marzo 2008

DIPARTIMENTO DI SALUTE MENTALE

DSM - ISTITUZIONE TOTALE OGGI
La psichiatria da violentemente repressiva si è trasformata in democraticamente repressiva”.
L’istituzione psichiatrica oggi è ugualmente ma diversamente totalizzante; ugualmente realizza una totalizzazione attraverso forme che sono condivise e accettate come democratiche.
Quando parliamo della psichiatria oggi, per più correttamente chiamarla, attraverso la sua strutturazione, (DSM) Dipartimento di Salute Mentale, pensiamo a tutta una serie di “servizi” (che bella parola che è “servizi”!) diffusi e polverizzati sul territorio come:
(SPDC) - Servizio Psichiatrico di diagnosi e Cura
(CSM) – Centro di Salute Mentale (il cosiddetto ambulatorio)
(CD) – Centro Diurno (centro semiresidenziale di riabilitazione psicosociale)
(CT) – Comunità Terapeutica (struttura residenziale).
Poi pensiamo a Case Famiglia, Comunità Alloggio, e altre strutture che ospitano “pazienti”, chiamati, nel periodo immediatamente post-manicomiale, strutture intermedie: dovevano consentire, al “residuo manicomiale” (così gli psichiatri chiamavano le persone ancora in manicomio), dopo l’uscita dal manicomio, una sosta di scongelamento presso i loro spazi oltre i quali si prevedeva, teoricamente, un reinserimento o nelle famiglie, o in strutture a sempre più alta competenza. Dalla “180” del 1978 in poi e fino ad una definitiva dismissione, in realtà mai realizzata, che si prolunga fino al 1998 e oltre, la natura ha risolto in buona percentuale il problema delegato alle strutture intermedie: in molti, dopo innumerevoli anni di manicomio, hanno tolto il disturbo più o meno… in modo naturale.
Riusciamo a pensare poco la propria famiglia come spazio istituzionale, come spazio della psichiatria. Invece lo è; in tutte quelle situazioni in cui il manicomio si è realizzato dentro le proprie case in una condizione di totale abbandono dei pazienti e delle famiglie.
Tutte queste strutture, per analogia con le sezioni e le camerate del manicomio, realizzano e costituiscono gli spazi fisici dell’attuale manicomializzazione del territorio. E i quartieri, e le città non fanno parte di questa unità manicomiale polverizzata e invisibile?
Una nuova forma dell’istituzione totale odierna. Non tanto, e non solo, perché si conserva il concetto di “malattia mentale” che rappresenta un problema ma non è il principale problema. Non perché le persone annullate con gli psicofarmaci sono sempre, come al manicomio, rinchiuse, sempre fra quattro mura, sempre in manicomio, sempre in carcere. Può essere questa la sensazione, è vero: di essere sempre in manicomio, sempre chiuse fra quattro mura; una sensazione di chiusura, di impotenza. Ma perché oggi sotto forma di apertura si realizza una chiusura, in una condizione in cui l’apertura non è reale ma è solo fittizia. La condizione del sentirsi chiusi all’aperto è una condizione di una indescrivibile sofferenza e angoscia necessaria per aumentare la produzione e la somministrazione di psicofarmaci e scaricare tutto sulla malattia: ecco, vedete, è la malattia, come lo metti lo metti, non c’è niente da fare, è così perché è ammalato; non dobbiamo perderci tempo; l’unica cosa che dobbiamo fare è dargli un posto dove stare, rendere l’ambiente allegro e festoso, rendere una buona accoglienza sempre sotto l’occhio vigile del controllo degli operatori; realizzare un gruppo dopo l’altro che li possa contenere, intrattenere e toglierli dalla vista. È vero, la camicia di forza psichica priva di forza fisica, di ogni libertà di movimento fisico e mentale, rende inabili e rende impossibile gestire la propria persona e la propria vita. Ma non tutto sta in questa camicia di forza che ancora è visibile, ben percepibile e, volendo, anche superabile.
Allora le parole nuove dell’istituzione sono:
sorvegliati senza cella
sindrome da accerchiamento
un dispositivo capace di agire senza essere visibile
desoggettivazione
disponibilità soggettiva alla coercizione
autocoercizione
invisibilità
spazi di nuovo immobilismo
indifferenzialità tra spazio aperto e spazio chiuso
invisibilità della linea d’esclusione
invisibilità del confine tra il dentro e il fuori
comportamento da sorvegliato senza sorvegliante
incomprensione del dispositivo
deresponsabilizzazione
invalidità, immobilità, inebetimento, inerzia, sgravio di responsabilizzazione, vulnerailità, il profondo senso di isolamento nella festa continua. Non mancano comunque i metodi di controllo più rozzi, più artigianali, sui quali è anche difficile potere incidere da parte delle persone in condizioni di Disagio Relazionale: specialmente in una situazione di residenzialità o di semiresidenzialità gli operatori sanno tutto di tutti i pazienti che non si devono accorgere di tale controllo ma lo devono sentire e lo devono agire. Tutto delle persone cartellate diventa oggetto medico, di conoscenza anamnestica, di nessuna utilità ai fini della cura e della terapia ma di estrema necessità per mantenere un clima di controllo e soggezione che, a sua volta, viene giustificato, spiegato, praticato, autorizzato come necessità clinica; tutto sempre sotto il beota sorriso fraterno e amichevole di compiaciuti operatori sanitari e non; tutto sempre sotto l’occhio vigile e la benedizione della scienza.

Pier Aldo Rovatti è nato a Modena il 19 aprile 1942. Ha compiuto i suoi studi a Milano, laureandosi nel 1966 all’Università Statale in Filosofia teoretica.
Negli ultimi anni ha lavorato in stretto contatto con diversi gruppi di psicanalisti. Rovatti, filosofo, ci accompagna ad una riflessione sulla relazione che oggi c’è tra scienza ed istituzione totale. L’istituzione psichiatrica odierna, una diversa forma di istituzione totale, è il luogo di residenza della scienza medica attraverso la scienza psichiatrica.

venerdì 7 marzo 2008

www.contraria-mente.org

RELIQUIE
TRA LEZZO E NON-LUOGHI


Dobbiamo andare fin sopra la Stultifera Navis e solcare le acque nere che fecero da culla e da bara per tutti quegli individui ritenuti per un qualche motivo incompatibili con le quotidiane frastornazioni di chi, rimanendo in città, si sentiva sulla terra ferma? Siamo sulle stesse acque e sullo stesso lezzo.
Spinti a calcare melma sulla quale stanno facendo scivolare la nave della nostra ormai moderna follia ci siamo incontrati con il manicomio. Ad ognuno il suo. Con “Cosi di pazzi. La real casa dei matti” il manicomio non s’era ancora collassato; molto meno traumaticamente stava ancora attuando un passaggio soft verso il manicomio diffuso sul territorio portandosi dietro la speranza e la motivazione di alcuni non molto tempo dopo riciclati pure loro. Non è facile resistere alla piena né ai posti di comando.
Le “buone pratiche” le puoi considerare solo quando riesci a distinguerle e farle emergere dalle pratiche manicomiali diffuse sul territorio, dalle pratiche della cronicizzazione, dalle pratiche dell’in-trattenimento con le quali ti confronti, le critichi, le cambi e, se è il caso, le denunci. Tale critica non è possibile nelle sedi di partito, in modo fittizio nelle direzioni psichiatriche, nei covi degli apici di qualsiasi colore. Quella è critica del campo nel campo. Quella è critica che chiunque abbia a che fare con le problematiche del Disagio Relazionale deve fare a partire da se stesso, dalla propria operatività messa sempre a confronto da un lato con le pratiche dalla logica manicomiale, dall’altro con le inflazionate proposte delle buone pratiche. Le buone pratiche sono pratiche della complicità ma solo di certa complicità.
Già nel 1764 la follia riguardava gli organi del cervello che si ammala come si possono ammalare i piedi e le mani di un gottoso. Il ministro Rosy Bindi, a protezione della nostra salute mentale, riproponeva ancora una pratica criminale: l’elettroshock.

Sotto varie forme, sotto vari titoli, sotto varie etichette, sotto varie diagnosi, sotto varie stigmatizzazioni l’“Incompatibilità ambientale”. Che tipo di diagnosi è? Che tipo di condizione? Non sembra essere una riconosciuta qualità. È un’ingiuria? È un’etichetta?
Può essere una persona ritenuta talmente inquinante da essere dichiarata “incompatibile ambientale”, come una qualsiasi carcassa di frigorifero abbandonato in Piazza San Pietro a Roma? E perché no?
Perché mai in una democratica psichiatria, vestita dalle buone speranze della Tutela della Salute Mentale, uno psichiatra può indifferentemente etichettare una persona?
La “Cronaca dai non-luoghi” continua nell’stituzione territoriale. Distruggere quanto di violenza rimane del vecchio manicomio e quanto di nuova democratica cronicizzazione si costruisce nel nuovo. Troppo scandaloso?
Una questione di dignità oltre che un diverso modo dell’assistenza e una relazione con il Disagio Relazionale con un occhio diverso.
Autoritari camuffati e sofisticati l’hanno accusata di autoritarismo sfrenato. La psichiatria mal sopporta essere messa in luce. Non sopporta l’iceberg di se stessa. La psichiatra è stata prima promossa per i meriti quindi abbandonata.
Se buone pratiche sono possibili, andavano e vanno prima di tutto conquistate. Se conquistate sicuramente vanno difese. Gruppi autonomi di base: una proposta che mira alla difesa delle buone pratiche. Indispensabile la creazione di strutture di difesa, di gruppi autonomi di difesa.
Il Forum incomincia a mettere il naso dentro il manicomio. Che gli strumenti del metodo siano adeguati al fine… questo è un altro paio di maniche.
Si chiude un manicomio e se ne apre un altro. Cronaca dai non-luoghi ce lo racconta. Dentro i non-luoghi si può andare a guardare. Si può guardare dentro il nuovo manicomio. Passo su passo.

mercoledì 5 marzo 2008

PRE-GIUDIZI

PSICHIATRI ACCUSATI DI
OMICIDIO COLPOSO
“Pre-Concetti” è una rubrica del giornale a-periodico on line “Contraria-Mente” che possiamo trovare all’indirizzo www.contraria-mente.org il nuovo indirizzo di Contraria-Mente che cambia veste grafica e redazionale. È troppo?
C’è che ci ha ispirato la rubrica.
Ci sono i “preconcetti” e ci sono i “pre-concetti”. Il confonderli non sempre appare operazione linda specie per le conseguenze di cui può partecipare. Ha veramente dei preconcetti la persona che si dirige liberamente o coattivamente di fronte allo psichiatra? È questo che sostengono studiosi psichiatri.
Noi proprio contro i “preconcetti”, anche contro quelli della psichiatria, guarderemo i “pre-concetti”.
Chiamiamo preconcetto l’idea, l’opinione che la persona concepisce irrazionalmente, per partito preso, senza una verifica della sua esattezza o autenticità; costituitasi senza validi elementi di giudizio o senza esperienza diretta. Un pregiudizio. Come il pregiudizio psichiatrico. Quello che noi definiamo punto di vista ideologico. Tutto ciò che fa giudicare in base ai propri preconcetti ed è privo di ogni fondamento.
Psichiatri concludono dicendo «I preconcetti del paziente verso il trattamento psichiatrico influenzano notevolmente la possobilità di ottenere il consenso. Infatti l’informazione già recepita dai mezzi di comunicazione, da coloro con i quali si relaziona, da letture o altro può essere altamente distorta e rafforzare alcuni meccanismi di difesa che si oppongono al riconoscimento della propria malattia.»
È vero che quel giorno può anche non piovere, ma è anche vero che se vedo un cielo annuvolato mi aspetto una giornata di pioggia.
Se la memoria è un problema individuale è anche un problema collettivo: se una cosa posso dimenticarla io, ci sarà sempre qualcuno che se ne ricorderà.
A parte che, dal nostro sempre dubbioso punto di vista, il rispetto della dignità umana e della libertà dell’individuo deve consistere proprio nella possibilità che ognuno di noi ha di avere accesso alla realtà così per com’è fatto, anche con condizionamenti e con diffidenze, il consenso informato, per non essere pura retorica di sola utilità per l’istituzione, se deve portare un contributo in conoscenza contro quelli che si ritengono condizionamenti distorti e contro le diffidenze, tale da consentire alla persona se volere accedere o no alle cure, deve anche rispettare la persona che, per un qualche motivo, non vuole o non riesce a superare né condizionamenti né diffidenze e accede ugualmente alle cure, come la persona che non vuole o non riesce a superare né condizionamenti né diffidenze e non vuole accedere alle cure.
Noi, da parte nostra, per il possibile, continueremo a dare informazioni “altamente distorte” e “contraria-mente”… se non altro per onorare le varie etichette che nel tempo ci vanno appendendo. Etichette apposte sulla nostra carne con la stessa leggerezza e con lo stesso cinismo con cui si può come o meno attaccare una qualsiasi altra etichetta di tipo diagnostico; attaccate con la stessa noncuranza con cui s’è inciso un codice sull’avambraccio dell’ebreo.
Lo faremo ancora anche attraverso la rubrica “Pre-concetti”.
Abbiamo bisogno della collaborazione di tutti coloro che hanno “pre-concetti”.
Intanto è possibile credere che Giuseppe Casu sia morto in psichiatria e, come l’accusa sostiene, in relazione ad un ricovero in Trattamento Sanitario obbligatorio (TSO)? Ci troviamo di fronte ad un “preconcetto” o ad un “pre-concetto”?
Casu era morto in psichiatria. Di Giampaolo Turri, capo del servizio psichiatrico dell’ospedale Santissima Trinità, è stato sospeso dalla Als competente. Nei suoi confronti c’è un procedimento giudiziario che lo vede imputato di omicidio colposo per la morte dell'ambulante quartese. Maria Cantone, l'altro psichiatra anche essa accusata di omi-cidio colposo e rinviata a giudizio, si era dimessa già il 15 agosto 2007. È con pre-giudizi di questo tipo che le persone si relazionano con lo psichiatra.

domenica 2 marzo 2008

ALL'ORIGINE DELLA PSICOTERAPIA

L'ANALISTA ANALIZZATO
COME'È NATO
di Rosamaria Raffaele
Il sole è un’idealizzazione. La fiammella della relazione empatica è reale. Non è la luce illusoria di un rapporto psicoterapeutico prezzolato. Rosamaria senza stola e senza saio è stata, ed è, a fianco di Maria Amato. Sa com’è nato l’Analista Analizzato. Ha raccontato sul L’Incompatibile qualcosa di quell’esperienza che è stata di grande aiuto per Maria e che ha portato alla redazione del libro.

http://www.incompatibile.altervista.org/index.php/la-recensione.html

Chi meglio d’un prete è curatore d’anime. Chi meglio d’un qualche psi- è curatore di psiche e di menti. In tutti i tempi ci hanno prima di tutto defraudato dell’anima, della psiche, della mente. Con forme di religione diverse sofisticatesi fino alla Scienza. In tempi di più che criticato dualismo il pericolo poteva essere che ci riappropriassimo della totalità del nostro corpo. È in questi tempi che il dualismo si presenta più violento che mai riproponendosi sotto un sempre diverso e sfavillante abitino. Due amiche, senza saio, senza stola e senza Scienza, si sono prese cura l’una dell’altra sullo sfondo di una relazione comunitaria apportatrice di risorse varie. Sono riuscite a prendersi cura di quell’anima, risalendo all’originario senso della psicoterapia, dove lo psi-prezzolato s’era mosso come un elefante in cristalleria. Una relazione empatica riesce lì dove una relazione autoritaria, di presunzione, d’arroganza di Scienza vestita, di mistificazione, di manipolazione, aveva portato già i suoi danni certamente attribuibili alla gravità della mai diagnosticata malattia. L’Analista Analizzato di Maria Amato è una miniera d’occasioni di riflessione. Un manuale per gli innumerevoli psi- che arrivano nei servizi o nel privato senza mai avere visto la faccia d’un paziente.

sabato 1 marzo 2008

CONTRARIA-MENTE

Progetto Contraria-Mente

Contraria-Mente, un’occasione. Il “Progetto Contraria-Mente” non ha la pretesa di poter illudere nemmeno noi stessi che l’abbiamo buttato lì la proposta, per provocazione: critica all’istituzione psichiatrica.
L’istituzione psichiatrica è una enorme forza di potere sopravvissuta a se stessa per criticare la quale occorre ben altro. Si vada per esempio a confrontare quanto si fa nei servizi con quanto la stessa legislazione prevede. Come? Accedere oggi ai servizi dei Dipartimenti si Salute Mentale è ancora meno possibile di quanto difficile fosse accedere ai manicomi. Si fotografi la nuova cronicità, si vada a parlare con gli operatori, si vada a verificare, se ci sono, dove sono e come sono, i progetti terapeutici dettagliati e individuali. Esiste la dimissione dai Dipartimenti di Salute Mentale? Si vada a vedere come si praticano i Trattamenti Sanitari Obbligatori. Si vada a vedere come sono compilate le cartelle cliniche, in tutti i servizi dei dipartimenti.
Allora il “Progetto Contraria-Mente” pone uno sguardo e un’attenzione rivolte alle problematiche della Salute Mentale, alla nuova iconografia dell’istituzione totale, mentre, oltre alle generose e mai mantenute promesse dei riformatori e allo spirito di abnegazione di una minoranza di uomini di buona volontà, di fatto si ripropongono rapporti autoritari, di delega, di esclusione sociale, etichettamento, stigmatizzazione fino alla nuova cronicità e cronicizzazione dei servizi territoriali e degli utenti di quei servizi. Oggi che per gli operatori sanitari si ripropone la stessa cronicizzazione istituzionale che per i pazienti. Oggi che per chi non si fa complice di pratiche e metodi di chiara matrice manicomiale si attuano i processi mafiosi presso i tribunali interni alle aziende sanitarie, che si propongono la sottile violenza dell’esclusione, la mai riconosciuta e riconoscibile atroce violenza del mobbing, dell’accusa, della criminalizzazione, della stigmatizzazione alla stessa stregua della persona diagnosticata ed etichettata. Si ripropone, come pratica di tutti i giorni, una nuova istituzione, questa volta definita democratica, la cui subdola violenza autoritaria non ha paragoni con la chiara evidenza della violenza manicomiale. Quando la logica manicomiale, nella pratica e nei metodi, pur se non ufficialmente riconosciuta non disturba più di tanto, si ripropone ancora l’elettroshock: tutto un lavoro di coerenza con la vera svelata natura di Berlusconi e del suo partito: anarchico lui, anarchici i suoi seguaci.
L’approccio di fondo che muove l’occasione Contraria-Mente rimane la ricerca e la lotta per la promozione relazionale, in una logica dell’autonomia, dell’emancipazione personale, dell’autogestione e nella assolutamente necessaria cornice rappresentata dalla comunità, famiglia in primo piano.
Il “Progetto Contraria-Mente” porta avanti la proposta di una Comunità Terapeutica Autogestita Diffusa sul Territorio che rimane anche la proposta attuale del discorso di “Contraria-Mente”, de “L’Incompatibile” e di “Contraria-Mente-Nero”.
Un’azione dalla dignità dell’informale che non si istituzionalizza cronicizzandosi su se stessa. Ancora un’occasione inutile. Pertanto, anche questa volta, occasione per pochi.
Non abbiamo bisogno di caporali né di vicerè né tantomeno di madri superiore che nell’occasione Contraria-Mente niente avrebbero da grattare.
Alda Merini continueremo ad esserci a tuo fianco e a fianco a tutto ciò che tu rappresenti.


La Redazione