domenica 26 giugno 2011

DI CONTENZIONE SI MUORE






CHI SARÀ IL PROSSIMO?





Negli ambienti della Salute, la pratica della contenzione continua senza sosta e senza tregua. Non ci sono dubbi che la Medicina psichiatrica abbia tradotto la contenzione dal Manicomio alle Aziende Sanitarie che hanno spensieratamente gradito. Non c’è Diritto né Costituzione che la possano impedire né sospendere. Non c’è professione sanitaria che non la rivendichi come importante e necessaria sua pratica. A niente valgono i profili professionali che non la prevedono ma la rivendicano. Non c’è dignità umana che la possa mettere in dubbio. Non c’è filosofia che dal dubbio sia riuscita a deporla concretamente nei musei delle pratiche psichiatriche desuete. Non ci sono codici deontologici che non la riconoscano come pratica etica. Se la ricerca e la cronaca nera di tutti i giorni dimostrana che le forme di contenzione sono diverse: contenzione sociale, contenzione ambientale, contenzione fisica meccanica, contenzione psicofarmacologica, allarmati, ci dovremmo rendere conto della condizione in cui si può venire a trovare una persona che avesse bisogno dell’assistenza della Medicina psichiatrica. Ci dovremmo rendere conto dell’urgenza della lotta per la sospensione di ogni forma di contenzione istituzionale per riprenderci la vita e la salute in una metodologia della relazionalità empatica che alla contenzione fisica prediliga, promuova e pratichi il contenimento umano, emotivo ed affettivo. Non ci sono dubbi che un individuo, qualche volta, in un momento di perdita di se stesso, preso dal delirio, non sappia più quel che pensa, quel che dice, quel che fa, o sentendosi aggredito e terrorizzato nelle sue allucinazioni, si difenda in una tensione distruttiva ciecamente rivolta. Non ci sono dubbi che questo individuo abbia bisogno di comprensione e contenimento umano. Non ci sono dubbi che di tutto può avere bisogno che di contenzione. Non ci sono dubbi che, in qualsiasi posto questi si trovi, non vorremmo stare a guardare creando terra bruciata e un ulteriore deserto attorno ad un corpo che brucia d’angoscia e di paura. Non ci sono dubbi che, né favorevoli né contrari al suicidio, non amiamo né favorirlo né vietarlo, mentre scegliamo di accompagnarci con quell’inividuo in una relazionalità empatica che possa raccontarci della vita e distrarci dalla morte che può sempre aspettare. Non ci sono dubbi che potremmo essere in possesso di tutte le conoscenze, di tutti i metodi, di tutte le pratiche, di tutte le strategie per farla finita una volta per tutte con la contenzione. Non ci sono dubbi che il calcolo dell’Economia, delle Utilità ci priva di ogni risorsa necessaria ad uscire dalla contenzione fino a privarci di noi stessi. Non ci sono dubbi che in Sanità la pratica di contenere i corpi della gente, legati e abbandonati fino ad una morte atroce, è teorizzata, insegnata nelle scuole e nei corsi di formazione e applicata col plauso del democratico Diritto. Non ci sono dubbi che il Diritto abbia saputo mantenere, proteggere, garantire la contenzione prima nel Manicomio poi nella Salute Mentale. Non ci sono dubbi che in Salute Mentale si continua a morire di Stato e di contenzione. Sarà proprio un’inchiesta che ritornerà a celare la verità cercata. L’ultimo atto col quale il Diritto ucciderà una seconda volta la persona già assassinata con la contenzione psichiatrica. E non vengano a raccontare che è un incidente di percorso. Chi sarà il prossimo? L’organizzazione di Gruppi Autonomi di Base contro la contenzione rappresenta la possibilità dell’azione diretta contro l’inganno del Diritto e dell’Economia. Si vede che i Governi, a conti fatti, scelgono di contenere un individuo in un letto della Salute Mentale fino alla morte, perché costa di meno, piuttosto che prendersene cura nel rispetto della libertà e della dignità umana… che costa di più. Non ci sono dubbi che siano in tanti, sanitari o meno, disponibili ad un’Economia che riduce la vita al soldo. Non ci sono dubbi che, anche noi in contenzione sul letto dell’Economia, siamo favorevoli ad ogni forma di distruzione dell’Economia.







La Redazione

martedì 14 giugno 2011

TRASFORMAZIONI





RIMINI





GIORNATE DEL LIBERO PENSIERO





MAGGIO 2011





Un contributo alle “Giornate del Libero Pensiero” di Rimini, Maggio 2011. Un punto di vista trans-psichiatrico nella prospettiva dell’autogestione della propria salute. “Progetto Contraria-Mente” luogo dell’azione e dell’autogestione trans-psichiatrica informale. Da uno sguardo diverso sulla follia ad una relazionalità empatica tra individui in condizioni di Disagio Relazionale. Per una Comunità Terapeutica Autogestita Diffusa sul Territorio quale occasione di lotta intermedia. In un più ampio movimento di lotta di liberazione sociale. Nel pantano sconfinato delle Anti-psichiatrie l’autogestione della propria salute in un arcobaleno di istanze diverse e contrastanti. Nella prospettiva della ricerca di affinità. Alla base di un progetto comune è necessaria l’individuazione di un minimo comune denominatore dell’autogestione. Né l’istituzione né l’azione in una metodologia istituzionale possono avere a che fare con l’autogestione.




Stiamo allora parlando di qualcosa di non possibile nell’Istituzione; di qualcosa realizzabile ai margini dell’Istituzione, in un territorio altro. Stiamo pensando ad una impresa di confine che non può certamente avere come suo metodo quello istituzionale. Di qualcosa che nello stesso tempo considera due punti di vista del bisogno, quello di una lotta contro ogni forma di potere e di autoritarismo nella prospettiva dell’autonomia, dell’autogestione, dell’antiautoritarismo senza la quale né la libertà può essere terapeutica né la terapia può essere libertà e quello della lotta in vista di un aiuto, un sostegno, in solidarietà, quale possibilità di azione diretta, nei confronti della persona portatrice di Di.Re., della sua famiglia e della comunità di riferimento.




Il metodo istituzionale non si coniuga con la libertà. Va bene che “la libertà è terapeutica”, va bene che occorre uno sguardo diverso sulla follia ma tutto ciò di fatto non è sufficiente ad evitare che la metodologia della manicomializzazione si diffonda sul territorio. Perché non è vero che la libertà sia terapeutica o perché non sia necessario uno sguardo diverso sulla follia? Né l’una né l’altra delle ipotesi. Molto più semplicemente perché, affinché uno sguardo diverso sulla follia sia realmente possibile e affinché la libertà divenga concretamente terapeutica per la persona, occorre che ci si ponga in un metodo che a quelle finalità possa portare; che si ricorra a mezzi, strategie e relazionalità che a quel fine possano portare.







La Redazione