sabato 30 giugno 2012

LA TERRA DEL RIMORSO


DISSONANZE DEL TARANTISMO

Nell’estate del 1959, nel periodo di fine Giugno, De Martino con la sua equipe doveva essere già a Galatina, in Puglia, ad osservare il rito religioso cristiano dei fedeli di San Paolo. Doveva effettuare una ricerca sul tarantolismo per porre definitivamente la parola fine su un fenomeno del quale, di fronte alla modernità, i pugliesi avrebbero dovuto vergognarsi. Non ultimo perché era incompatibile con il Modernismo galoppante, poi perché rappresentava un elemento determinante della “quistione meridionale” e, non ultimo, perché si trattava di un’espressione di malattia mentale da escludere dalla piazza e relegare negli istituti della Neuropsichiatria, nei Manicomi.
Dove li andava a trovare tanti tarantolati tutti insieme per una ricerca che si doveva svolgere in venti giorni e ancora al quarto giorno era arenata? Non c’era di meglio che andarli a trovare per la festa di San Paolo radunati tra la chiesa e la cappella.
Momenti tra religione, cattolicesimo, paganesimo, smisurata e scellerata fede sceneggiata in indiscussa devozione al Santo, per richiedere una grazia, per accelerarne una in ritardo, per ringraziarlo d’una grazia già ricevuta, per esortarlo ad impedire una ricaduta, per promettersi anima e corpo ad un pezzo di legno scolpito o ad un blocco vuoto di cartapesta verniciata simbolo del governo del divino sull’umano. Certamente scene raccapriccianti che nella fede cieca, che papi, preti, parroci, sacerdoti e sacrestani avevano saputo vendere a caro prezzo dal Medioevo in poi, trovavano tutta la loro ragion d’essere. Scene non esclusive di San Paolo ma comuni pur nella specificità a tanti altri santi e a tanti altre comunità del Sud.
Da qui a dichiarare i tarantolati malati mentali da deferire alla Neuropsichiatria ne dovrebbe certo passare. Ma non certo per De Martino. La terra del rimorso si presenta allora prima di tutto come la storia di una diagnosi psichiatrica posta da un etnologo. La ricerca in campo che era partita dalla critica della “ipotesi avversa”, quella della malattia, finiva col diagnosticare il tarantolismo non solo malattia ma malattia mentale. Più di una dissonanza ritroviamo ne La terra del rimorso tela di vischio tessuta da De Matino per sempre nuovi possibili ragni. Stiamo parlando di uno studio pilastro dell’etnologia, dell’antropologia, dell’etnopsichiatria. Se ne abbiamo veramente trovato, vi proponiamo solo qualche dissonanza nella pretesa di un occhio diverso. Dal punto di vista trans-psichiatrico.


La Redazione

mercoledì 13 giugno 2012

RAGNO CHE PUNGE E AVVELENA


CON ARACHNE NEL SANGUE

Assillati, quei pugliesi, da qualcosa che ad un certo punto della loro vita li conduceva ad un impedimento invalidante confinante con la morte sociale. Quasi all’improvviso, inaspettatamente; un fatto acuto. Un ragno li aveva avvelenati con la sua puntura. Dicevano. Per millenni avevano allevato quel ragno. Dai tempi d’Athena e forse anche prima. La cura consisteva prima di tutto in una terapia comunitaria. La persona non veniva mai esclusa dalla comunità di riferimento. Fino a quando su quelle persone cadde il sigillo dello stigma che spinse i punti dalla tarantola ad averne vergogna del loro essere al mondo. Un ragno che entra vivo, sosta strepitando e esce morto. Il ritmo della musica in una danza insistente, decisa era anche il ritmo dell’empatizzazione tra il punto e la sua tarantola. Quell’immedesimazione necessaria ad accogliere la tarantola, a conoscerla non dall’esterno dell’osservatore curioso ma disponendo le proprie vene a piste e balere per il tremolante saltellio delle sue svelte zampe, era anche predisposizione a meglio capire come liberarla per meglio liberarsi. Il tarantolismo.
Sulla tarantola e sui tarantolati che per millenni hanno vissuto le strategie dell’avvelenamento come quelle della guarigione, prima per assunzione quindi per espulsione, si è inserito, pungolo di ragno, il gioco delle ipotesi tutte accompagnate dalla garanzia di scientificità. Non ultimo, La terra del rimorso di Ernesto De Martino, studio sul campo, fondamentale contributo, dicono, alla comprensione del tarantolismo, anzi, per la verità, del “tarantismo”.
Quasi senza accorgersene, quasi senza volerlo, l’autore che respingeva l’ipotesi “avversa” della malattia, scivolando sulle varie ipotesi, in un gioco di proiezioni e di rimandi, arriva a vergare i dati, le testimonianze e le conclusioni per una nuova malattia, una diagnosi psichiatrica: “tarantismo”.
Dai “tarantati” ad Arachne il ragno e da questa ai “tarantati”, per dire che, dopo tutto, si tratta di un filone di follia che da Arachne arriva fino ai “tarantati”, indirizzati alla Neuropsichiatria, e da questi a quella fino alla mitologia dell’antica Grecia.
Può piacere o no ridurre un fenomeno millenario ad una nuova malattia psichiatrica, può piacere o no un etnologo che pone diagnosi di malattia mentale ma De Martino de La terra del rimorso andrebbe studiato veramente con amore e passione sul tavolo anatomico dell’entomologia. Una fonte preziosa da molti punti di vista, specie per chi non ama che dietro la malattia mentale, stigma come il “tarantismo”, scompaia l’individuo, la sua storia, il suo senso per fare spazio a sessanta gocce di Serenase per tre anche a vita.
Io non so se dell’autore quel poco che o letto l’ho fatto veramente con amore. L’avrei voluto.
Attenti agli effetti collaterali. Se il ragno punge avvelena.

IO LO CHIAMO TARANTOLISMO di Gaetano Bonanno