venerdì 14 febbraio 2014

DALLA PARTE DELLA TARANTOLA

DALLA PARTE DELLA
TARANTOLA

Da puntura a morso simbolico
Da chi è avvelenato a chi fa l'avvelenato


  


... ho visto un uomo che leggeva un libro.
Non capiva neppure una parola di quello che leggeva,
lo faceva per devozione.

George Barkeley




Tutto quello che de Martino aveva interpretato del fenomeno del Tarantolismo era stupefacente. Finalmente si aspettava l’ultima parola che avrebbe posto fine alla storiella della Tarantola mordi e fuggi dei Pugliesi. Non se ne poteva proprio più. Eppure qualcuno aveva avuto il sospetto che, non sempre per cattiveria, si trattasse di una mistificazione. C’era solo da dimostrarla e portarla alla luce, dichiarando sul suo vero significato da un lato e, dall’altro, mettendo in ridicolo i tarantolati incompatibili con la modernità. In tal modo l’etnologo li avrebbe convinti a desistere dall’inganno o li avrebbe portati alle attenzioni della Psichiatria, particolare il cui significato sembra essere sfuggito a molti. D’altra parte per de Martino non era più ulteriormente sopportabile che ad ostacolare il ritmo già allora forsennato del Capitale e delle Utilità si ci mettessero pure quelle quattro donnette sfuggite ai cancelli d’un Manicomio.
L’impresa era meritevole. In uno de Martino portava un contributo alla “quistione” meridionale, un contributo al Capitale i cui bisogni erano definibili come modernità; un contributo al metodo scientifico attraverso la ricerca in campo e il lavoro in équipe, in un settore come quello dell’Etnologia; un contributo alla storia delle religioni, un contributo ancora alla Psichiatria verso la quale indirizzava quelle donne che s’erano male abituate ad intraprendere, per la risoluzione dei loro conflitti, la via della Tarantola che riproducevano come “taranta”. Un contributo con i mezzi dell’Etnologia e della storia delle religioni. Un contributo alla modernità.
Oggi il “morso” della taranta continua a pizzicare nelle piazze e nelle sacre della Puglia. Non più per i disagi e l’oppressione della società contadina totalmente annichilita. Sono sempre più quelli convinti che le manifestazioni popolari attuali de La notte della taranta esprimano il desiderio e il bisogno di quelle popolazioni di liberarsi, attraverso la musica e le danze, degli affanni, della schiavitù e della mortalità della modernità attuale. Ma non era per aprire alla modernità che de Martino volle organizzare quell’interpretazione squalificante Tarantolismo, tarantolati e comunità relative?
Se quel ballo per de Martino non c’entrasse niente con la Tarantola, e viceversa, ma fosse stato strumento di risoluzione dei conflitti psicologici irrisolti nati in una condizione di relazionalità autoritaria e delle Utilità, quando, come oggi, tale relazionalità si fa sempre più mortale e sempre più diffusa sembra ovvio che si diffonda e si moltiplichi massivamente anche lo sforzo di una rielaborata ritualità coreutico-musicale. Se già allora però tale soluzione, pur col suo senso autogestionario, aveva dato segni di insufficienza e di una nuova mistificazione, oggi, diffusasi direttamente a promozione delle Utilità che aveva voluto combattere, si dimostra radicalmente più insufficiente e mistificatoria contro la diffusa e perpetuata relazionalità di Potere. Volendo fare un’analogia, se ai tempi di de Martino il tarantismo interessava un centinaio di individui, oggi, sganciato totalmente dalla Tarantola, coinvolge masse enormi. Se già allora voleva essere rimedio contro il disagio psicologico interessando un centinaio di persone, oggi che interessa masse enormi di individui, se non vuole essere promozione commerciale, che enormità di disagi e di conflitti psicologici irrisolti sta volendo esprimere e lottare?
La musica e la danza della festa s’accompagnano inestricabilmente alla musica e alla danza terapeutiche e liberatorie fino al punto che le due manifestazioni spesso sono state con molta leggerezza confuse dai vari autori. Non è che per caso sarà sempre la festa ed essere terapeutica e liberatoria anche quando la Trantola punge? Forse la Tarantola non sempre c’entrava con musiche e balli, così come ogni occasione coreutico-musicale non necessariamente c’entrava con una puntura. Ma non c’entra niente la Tarantola con il fenomeno così com’è interpretato da de Martino? La costruzione interpretativa dello storico delle religioni aveva bisogno di fare scomparire la Tarantola. L’etnologo impegno ne mise tanto in tal senso. Gli riuscì come voleva? Fino a quel momento ci si era chiesto cosa della musica, della danza, dei colori, della relazione comunitaria avesse effetto terapeutico sulla puntura della Tarantola. Con de Martino la Tarantola doveva scomparire.
- Scomparve veramente?
Credo di no; nonostante il suo impegno interpretativo, de Martino non riuscì del tutto a liberarsi dal ragno.
Se quello della perdita della presenza è rischio oltre il quale la parentesi si chiude su uno dei suoi poli, un po’ prima si ha l’illusione che sia il caso di posizionarsi e la speranza che la sicura perdita sia la più irrisoria. Una questione anche di scelta è quella di posizionarsi dalla parte della Tarantola che, oltre al tentativo di guardare dal basso, in altro non mi pone se non dalla parte delle inutilità. Non per questo la speranza è disinganno e allucinazione meno chimerica di quella che in alcuni, ridotti a livello di meno che Tarantola, nella rivendicazione sociale d’una presenza che meritava rispetto anche come falangio, speravano a loro volta al massimo delle loro forze di ridurre la perdita almeno d’un po’. Non per questo la Tarantola, i tarantolati, il Tarantolismo potevano e dovevano impietosamente, cinicamente e impunemente essere ridotti a fenomeno allucinatorio con destinazione psichiatrica. Per questo motivo non è dello storico delle religioni, non dell’etnologo, non dell’équipe di cui si mise a capo, non dei dati d’una ricerca in campo e della loro interpretazione, non del “tarantismo” né del Tarantolismo, non di tarantolati, di musici, di danze terapeutiche che vi parlerò. Non di “taranta”. Volendo, nemmeno di Tarantola.
Antidoto essenziale e vitale per coloro che sono punti dalla Tarantola non parlerò nemmeno di musica. De Martino ha suonato la sua che tanti ne ha guariti ora finalmente consapevoli di cosa fossero stati secoli di ragni punture danze e guarigioni. Inganni. Musica che da un lato m’ha scazzicato ma dall’altro innumerevoli dissonanze m’hanno inquietato, sbattuto al suolo e senza forze e senz’avermi guarito. Musica che non appatta con la mia Tarantola. Che mi si lasci ballare e tenere in vita il ragno ché finché ballo la Tarantola non è morta. Allora la musica, quella giusta. Quella la cui giustezza e la cui giustizia non è data da principi, da re, parlamenti, onorevoli, da giudici e nemmeno da professori ma dagli stessi avvelenati.
Agli inizi del ‘700 da quelle parti, Roma, Napoli, Puglia era passato anche il filosofo Berkeley, non certo per la Tarantola. Nemmeno lui era comunque riuscito a sfuggire al ragno. A lui, prima ancora dei medici toscani, avevano presentato «dei ragni con corpo rosso ritenuti tarantole» e chissà che anche quelle non fossero le Tarantole in seguito studiate a Volterra. Aveva saputo anche di ragni bianchi e neri. Verso la fine del ‘700 quei ragni furono visti, studiati, catalogati da due medici toscani, Luigi Toti e Francesco Marmocchi mentre si trovarono al capezzale dei loro pazienti, punti e avvelenati, fino all’ultimo respiro.
Gli osservatori di cui trattiamo sono solamente un campione, un esempio di tutti gli autori e gli studiosi che a vario titolo, e sono stati veramente tanti, s’erano sfiorati o incontrati con la bestia. Dopo qualche secolo ci accorgiamo che in Toscana la Tarantola punge in Puglia la Tarantola morde. È quello che ci dice l’etnologo de Martino attraverso La terra del rimorso, resoconto di una sua ricerca condotta nel Salento nel 1959 attraverso il quale, escludendo la Tarantola e il Tarantolismo, interpreta il fenomeno, in tutte le sue fasi e i suoi elementi, come “tarantismo” alla cui base c’è non il ragno reale ma un ragno simbolico dallo studioso individuato come “taranta”.
Tutto qui?
Ancora una volta non è di tutto ciò che parlerò e che rappresenta solo l’intreccio di percorsi e occasioni verso una più ampia boccata d’ossigeno per i dubbi della quale occorrono polmoni d’acciaio e denti impietosi.

Gaetano Bonanno