DALLA PARTE DELLA
TARANTOLA
TARANTOLA
Da
puntura a morso simbolico
Da chi è avvelenato a chi fa l'avvelenato
Da chi è avvelenato a chi fa l'avvelenato
... ho visto un uomo
che leggeva un libro.
Non capiva neppure una
parola di quello che leggeva,
lo faceva per
devozione.
George Barkeley
Tutto quello che de
Martino aveva interpretato del fenomeno del Tarantolismo era stupefacente.
Finalmente si aspettava l’ultima parola che avrebbe posto fine alla storiella
della Tarantola mordi e fuggi dei Pugliesi. Non se ne poteva proprio più.
Eppure qualcuno aveva avuto il sospetto che, non sempre per cattiveria, si
trattasse di una mistificazione. C’era solo da dimostrarla e portarla alla
luce, dichiarando sul suo vero significato da un lato e, dall’altro, mettendo
in ridicolo i tarantolati incompatibili con la modernità. In tal modo l’etnologo li avrebbe convinti a desistere
dall’inganno o li avrebbe portati alle attenzioni della Psichiatria,
particolare il cui significato sembra essere sfuggito a molti. D’altra parte per
de Martino non era più ulteriormente sopportabile che ad ostacolare il ritmo
già allora forsennato del Capitale e delle Utilità si ci mettessero pure quelle
quattro donnette sfuggite ai cancelli
d’un Manicomio.
L’impresa era meritevole.
In uno de Martino portava un contributo alla “quistione” meridionale, un contributo al Capitale i cui bisogni
erano definibili come modernità; un
contributo al metodo scientifico attraverso la ricerca in campo e il lavoro in équipe,
in un settore come quello dell’Etnologia; un contributo alla storia delle
religioni, un contributo ancora alla Psichiatria verso la quale indirizzava
quelle donne che s’erano male abituate ad intraprendere, per la risoluzione dei
loro conflitti, la via della Tarantola che riproducevano come “taranta”. Un contributo con i mezzi
dell’Etnologia e della storia delle religioni. Un contributo alla modernità.
Oggi il “morso” della taranta continua a
pizzicare nelle piazze e nelle sacre della Puglia. Non più per i disagi e
l’oppressione della società contadina totalmente annichilita. Sono sempre più
quelli convinti che le manifestazioni popolari attuali de La notte della taranta esprimano il desiderio e il bisogno di
quelle popolazioni di liberarsi, attraverso la musica e le danze, degli affanni,
della schiavitù e della mortalità della modernità attuale. Ma non era per
aprire alla modernità che de Martino
volle organizzare quell’interpretazione squalificante Tarantolismo, tarantolati
e comunità relative?
Se quel ballo per de
Martino non c’entrasse niente con la Tarantola, e viceversa, ma fosse stato strumento
di risoluzione dei conflitti psicologici irrisolti nati in una condizione di
relazionalità autoritaria e delle Utilità, quando, come oggi, tale
relazionalità si fa sempre più mortale e sempre più diffusa sembra ovvio che si
diffonda e si moltiplichi massivamente anche lo sforzo di una rielaborata
ritualità coreutico-musicale. Se già allora però tale soluzione, pur col suo senso
autogestionario, aveva dato segni di insufficienza e di una nuova mistificazione,
oggi, diffusasi direttamente a promozione delle Utilità che aveva voluto
combattere, si dimostra radicalmente più insufficiente e mistificatoria contro
la diffusa e perpetuata relazionalità di Potere. Volendo fare un’analogia, se
ai tempi di de Martino il tarantismo
interessava un centinaio di individui, oggi, sganciato totalmente dalla Tarantola,
coinvolge masse enormi. Se già allora voleva essere rimedio contro il disagio
psicologico interessando un centinaio di persone, oggi che interessa masse
enormi di individui, se non vuole essere promozione commerciale, che enormità
di disagi e di conflitti psicologici irrisolti sta volendo esprimere e lottare?
La musica e la danza della
festa s’accompagnano inestricabilmente alla musica e alla danza terapeutiche e
liberatorie fino al punto che le due manifestazioni spesso sono state con molta
leggerezza confuse dai vari autori. Non è che per caso sarà sempre la festa ed
essere terapeutica e liberatoria anche quando la Trantola punge? Forse la Tarantola non sempre
c’entrava con musiche e balli, così come ogni occasione coreutico-musicale non
necessariamente c’entrava con una puntura. Ma non c’entra niente la Tarantola con il
fenomeno così com’è interpretato da de Martino? La costruzione interpretativa dello
storico delle religioni aveva bisogno di fare scomparire la Tarantola. L’etnologo impegno
ne mise tanto in tal senso. Gli riuscì come voleva? Fino a quel momento ci si
era chiesto cosa della musica, della danza, dei colori, della relazione
comunitaria avesse effetto terapeutico sulla puntura della Tarantola. Con de
Martino la Tarantola
doveva scomparire.
- Scomparve veramente?
Credo di no; nonostante il
suo impegno interpretativo, de Martino non riuscì del tutto a liberarsi dal
ragno.
Se quello della perdita della presenza è rischio oltre il
quale la parentesi si chiude su uno dei suoi poli, un po’ prima si ha
l’illusione che sia il caso di posizionarsi e la speranza che la sicura perdita
sia la più irrisoria. Una questione anche di scelta è quella di posizionarsi dalla
parte della Tarantola che, oltre al tentativo di guardare dal basso, in altro
non mi pone se non dalla parte delle inutilità. Non per questo la speranza è
disinganno e allucinazione meno chimerica di quella che in alcuni, ridotti a
livello di meno che Tarantola, nella rivendicazione sociale d’una presenza che
meritava rispetto anche come falangio, speravano a loro volta al massimo delle
loro forze di ridurre la perdita almeno d’un po’. Non per questo la Tarantola, i
tarantolati, il Tarantolismo potevano e dovevano impietosamente, cinicamente e
impunemente essere ridotti a fenomeno allucinatorio con destinazione psichiatrica.
Per questo motivo non è dello storico delle religioni, non dell’etnologo, non
dell’équipe di cui si mise a capo, non dei dati d’una ricerca in campo e della
loro interpretazione, non del “tarantismo”
né del Tarantolismo, non di tarantolati, di musici, di danze terapeutiche che vi
parlerò. Non di “taranta”. Volendo,
nemmeno di Tarantola.
Antidoto essenziale e vitale per coloro che sono punti
dalla Tarantola non parlerò nemmeno di musica. De Martino ha suonato la sua che
tanti ne ha guariti ora finalmente consapevoli di cosa fossero stati secoli di
ragni punture danze e guarigioni. Inganni. Musica che da un lato m’ha
scazzicato ma dall’altro innumerevoli dissonanze m’hanno inquietato, sbattuto
al suolo e senza forze e senz’avermi guarito. Musica che non appatta con la mia
Tarantola. Che mi si lasci ballare e tenere in vita il ragno ché finché ballo la Tarantola non è morta.
Allora la musica, quella giusta. Quella la cui giustezza e la cui giustizia non
è data da principi, da re, parlamenti, onorevoli, da giudici e nemmeno da
professori ma dagli stessi avvelenati.
Agli inizi del ‘700 da quelle parti, Roma, Napoli, Puglia
era passato anche il filosofo Berkeley, non certo per la Tarantola. Nemmeno
lui era comunque riuscito a sfuggire al ragno. A lui, prima ancora dei medici
toscani, avevano presentato «dei ragni con corpo rosso ritenuti tarantole»
e chissà che anche quelle non fossero le Tarantole in seguito studiate a
Volterra. Aveva saputo anche di ragni bianchi e neri. Verso la fine del ‘700
quei ragni furono visti, studiati, catalogati da due medici toscani, Luigi Toti
e Francesco Marmocchi mentre si trovarono al capezzale dei loro pazienti, punti
e avvelenati, fino all’ultimo respiro.
Gli osservatori di cui trattiamo sono solamente un
campione, un esempio di tutti gli autori e gli studiosi che a vario titolo, e
sono stati veramente tanti, s’erano sfiorati o incontrati con la bestia. Dopo
qualche secolo ci accorgiamo che in Toscana la Tarantola punge in
Puglia la Tarantola
morde. È quello che ci dice l’etnologo de Martino attraverso La terra del
rimorso, resoconto di una sua ricerca condotta nel Salento nel 1959
attraverso il quale, escludendo la
Tarantola e il Tarantolismo, interpreta il fenomeno, in tutte
le sue fasi e i suoi elementi, come “tarantismo”
alla cui base c’è non il ragno reale ma un ragno simbolico dallo
studioso individuato come “taranta”.
Tutto qui?
Ancora una volta non è di tutto ciò che parlerò e che rappresenta solo
l’intreccio di percorsi e occasioni verso una più ampia boccata d’ossigeno per
i dubbi della quale occorrono polmoni d’acciaio e denti impietosi.
Gaetano Bonanno
(13 Feb. 2014)
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