lunedì 17 dicembre 2007

L'ANALISTA A SANTO STEFANO





Il 15 Dicembre 2007 il Progetto “Contraria-Mente”, rispondendo ad un invito della dottoressa Amato, ha presentato il libro L’ANALISTA ANALIZZATO di Maria Amato presso i locali del municipio di Santo Stefano di Camastra in provincia di Messina.
Il Progetto, nella prospettiva di quella che abbiamo chiamato Comunità Terapeutica Autogestita Diffusa sul Territorio (CTA-DT) e nella lotta contro ogni forma di stigmatizzazione, all’interno di una metodologia autogestionaria che sceglie la relazione empatica alla relaziona autoritaria, sta promuovendo il libro di Amato. Tale promozione è anche l’occasione per promuovere, oltre che la persona stessa, anche la conoscenza di un documento denuncia importante per conoscere cosa oggi, nel post-manicomio, sta succedendo nell’istituzione della Salute Mentale («L’istituzione del male mentale» per il fiolosofo Furio Di Paola) e cosa può succedere in un momento particolare dell’incontro tra lo psichiatra (più o meno psicoterapeuta) ed il pre-determinato malato: il momento del Confessionile. Le sbarre alle finestre del manicomio si vedono ancora oggi perché è lì che sono rimaste non essendo mai cadute, come nel manicomio di Palermo dove nemmeno le mura di cinta sono mai cadute. La loro critica è stata possibile anche grazie alla loro stessa visibilità. Più difficile è però andare a vedere di quali catene può essere cintato il confessionile che rinchiude una persona nel colloquio tra psichiatra e paziente. Più difficile ma non impossibile. Amato ha dimostrato che si può andare a guardare anche nei più reconditi posti di una relazione intimamente autoritaria ma che veste i panni democratici di una relazione terapeutica.
La protagonista della testimonianza romanzata ce l’ha fatta. E questa è una fortuna.
Non tutti ce la fanno. E questa è una sfortuna.
Maria Amato del suo libro dice: «Il testo è fortemente innovativo, sia nella forma, che nei contenuti, e vuole essere, una forte critica al sistema psichiatrico, un’analisi approfondita del disagio esistenziale, che si esprime anche nelle varie forme della bulimia e dell’anoressia; un’affrontare il dramma della violenza familiare, oggi tanto diffusa, ed insieme un rivoluzionario messaggio di speranza.»
Di seguito riportiamo il testo della relazione di Gaetano Bonanno, del Progetto “Contraria-Mente”, alla presentazione del libro.



Chi, che cosa, dove e come oltre la psichiatria? Per un superamento della “malattia” e della “non-malattia” verso l’autogestione della propria sofferenza e della propria salute

«“Ho sempre fame! esordii io.” (…)
“Lei produce schifezze!”
Non commentai


Maria Amato


Quello che andiamo dicendo, come Progetto "
Contraria-Mente” e relativamente a “L’Analista Analizzato”, è da considerare non consiglio medico, non consiglio sanitario, ma è solo da ritenere per quello che è: si tratta di nostre opinioni, nostre idee personali, che tali rimangono anche quando esse provengono da dolorose esperienze e conoscenze personali.
Chi per un qualche motivo ritiene che le sue siano problematiche riguardanti la salute, e non un problema di ordine pubblico o culturale, si rivolga sempre al proprio medico di fiducia. Se di fiducia non ne ha uno, è meglio che se lo cerchi e se lo scelga subito.
Con L’Analista Analizzato l’argomento che trattiamo è quello della sofferenza, dello star male, nei confronti del quale l’individuo dovrebbe avere libertà di scelta a seconda di come ognuno di noi è fatto. C’è chi per non farsi mutilare di una gamba decide di morire; possiamo non condividere quella scelta ma, sofferta per quanto possa essere, dobbiamo rispettare quella decisione. Che, per chi rimane, possa essere cosa per niente facile rimane solo ed esclusivamente un problema riguardante non certo chi se ne vuole andare.
In quel libro l’argomento è anche quello di una persona che s’imbatte nell’istituzione sanitaria per la Tutela della Salute Mentale, oggi DSM (Dipartimento di Salute Mentale), già istituzione psichiatria, come Alienistica, Manicomio, Manicomio Criminale, Ospedale Psichiatrico, che, se deputata non più alla cura della malattia mentale ma alla “tutela della salute mentale”, oggi, molto spesso, continua ad operare ancora in una logica autoritaria di tipo manicomiale subdolamente camuffata in democratiche strutture territoriali che, nella loro immagine, niente più hanno del troppo bene conosciuto manicomio.
Sulla sofferenza, per quella parte che è definita sofferenza mentale e chiamata “malattia mentale”, avrei qualcosa da puntualizzare in premessa.
Ferma restando la mia personale consapevolezza e convinzione che, per ogni tipo di umana sofferenza, mai c’è da perdere la speranza mentre nello stesso tempo si conoscono innumerevoli rimedi capaci di alleviarla, relativamente a quella che viene chiamata “malattia mentale” le informazioni in mio possesso, fino a questo momento, mi dicono che non ci sono caratteristiche di sofferenza, segni, sintomi, evidenze neuropatologiche, evidenze scientifiche, dati di analisi che si possano racchiudere nella la categoria di “malattia” per come questa è intesa dalla medicina e secondo la metodologia scientifica medica. Nello stesso tempo tante, veramente tante, sono le ipotesi sull’origine in senso medico-biologico, e non solo, della malattia mentale, ma si tratta proprio solamente di ipostesi, mentre tante sono le possibilità, fuori dalla scienza, di portare aiuto a chi sente la propria salute affievolirsi sul versante relazionale.
Lo stesso Documento Programmatico del Forum Salute Mentale, svoltosi a Roma il 16 ottobre 2003, Forum critico nei confronti della stessa Salute Mentale, denuncia «la dissociazione che molti da tempo avvertono tra enunciati e pratiche nel campo delle politiche della salute mentale», una forma più elegante per dire che in Salute Mentale gli enunciati sono molto avanzati mentre le pratiche sono regredite a livello di manicomio diffuso sul territorio.
Secondo il Progetto “
Contraria-Mente”, in Salute Mentale, gli enunciati sono molto regrediti rispetto agli aspetti teorici sulle possibilità di aiuto a persone con disagio relazionale, mentre le pratiche, sia nel campo delle politiche della salute mentale ma anche nella quotidianità dei servizi della Salute Mentale, sono molto lontane oltre che dagli enunciati, prodotti dalla “180” e dai vari Progetto Obiettivo, anche dagli aspetti teorici nel frattempo maturati sulla cura del disagio relazionale. Tale dissociazione, accompagnata da un trattamento che su tutto si fonda tranne che su una metodologia scientifica e sostenuta da una relazione autoritaria, è già sufficiente a realizzare una condizione manicomiale diffusa sul territorio.
Ma tutto ciò, certamente, secondo le informazioni in mio possesso; perché, sicuramente, ci sarà già qualche furbacchione che ha informazioni diverse e più valide delle mie, che avrà già trovato quei fondamenti anatomopatologici necessari a poter parlare di malattia mentale in senso biologico, medico-scientifico e non mancherà molto che li farà conoscere anche a noi che rimaniamo in speranzosa attesa.
Per quanto riguarda il concetto di “malattia”, senza il “mentale”, questo è cambiato con il cambiare del tempo, della filosofia, dei costumi e dei popoli. Non mi stupisce sentir parlare, ancora oggi, di “malattia dell’anima”, di malattia come invasione, come situazione in cui qualcosa di esterno, il male, il maligno è entrato a condizionare in negativo il nostro corpo, da parte della chiesa e di religioni varie che nel dilaniare l’individuo e la persona hanno saputo fare e fanno molto meglio della psichiatria.
È certo però che se è un medico a parlare di “malattia” e di “malattia mentale” ne parla sicuramente nei termini della scienza medica e della metodologia medico scientifica. Di ciò noi non vorremmo dubitare. Mentre a dubitarne è proprio la stessa comunità scientifica, composta proprio da biologi, medici, psichiatri, chimici, fisiologi, neurologi. Allora dobbiamo tenere conto dei dubbi della stessa comunità scientifica. Secondo la stessa medicina c’è più di una difficoltà a parlare di quella mentale come di una “malattia” in senso medico… anche quando di questa ormai da tempo se ne occupa il medico. Fino al punto che sono sempre di più i medici, gli stessi psichiatri, che sostengono, scientificamente, che la “malattia mentale” non esiste come malattia. No; questi, questa volta, non la mettono tra parentesi, lasciandola in agguato e tirandola fuori a seconda della convenienza, questi dicono proprio che non esiste come malattia. Allo stesso modo in cui ci sono altri medici psichiatri che sostengono scientificamente (come dicono loro) che la malattia mentale esiste: questi, e sono quelli della psichiatria di sempre, continuano a spacciare le mille ipotesi per verità scientifica acquisita.
Quello che più sconcerta non è tanto il fatto che la scienza abbia ipotizzato una malattia che ancora non è in grado di dimostrare in tutti i suoi connotati, quanto il fatto di esserci trovati nel tempo vittime di un’organizzazione medica psichiatrica autoritaria fondata esclusivamente su una solo fittizia verità scientifica. Come se, una volta che si fosse biologicamente conosciuta una malattia e solo per questo l’istituzione si sentisse autorizzata e giustificata ad una relazione autoritaria in una strutturazione di potere. Quello che ancora sconcerta è come la scienza medica e la medicina in generale non prenda le distanze da una solo fittizia pratica scientifica psichiatrica.
Noi, gente comune, cerchiamo di farci un’idea tra questi due filoni della scienza evitando di parteggiare ideologicamente né per l’uno né per l’altro ma apportando il nostro contributo alla conoscenza della persona attraverso una relazione antiautoritaria, alla sua conoscenza empatica, alla ricerca di ogni aiuto possibile ad alleviare la sua sofferenza; alla conquista della persona spesso esclusa sia da chi cerca la malattia sia da chi la nega. Noi non siamo cercatori di malattia né la neghiamo. Noi, nella persona, cerchiamo la non-malattia, cosa diversa dal negare la malattia. Una malattia si può negare solo quando c’è, come la negano le istituzioni psichiatriche dopo averla creata e perfino diagnosticata. Cosa diversa è ricercare la non-malattia lì dove altri cerca così tanto la malattia da crearla, ricrearla e mantenerla con l’escludere e il negare l’individuo con tutta la sua sofferenza.
Dove mi pongo io con il Progetto “
Contraria-Mente” all’interno dell’attuale dibattito? Lungi dal pormi in una posizione ideologica, non ho dati di natura medica, né biologica che mi permettono di poter parlare di quella mentale come di malattia in senso medico. Rimango in attesa e nella speranza che qualcuno dei sostenitori della malattia mentale trovi definitivamente non solo tutti gli elementi necessari ad inquadrare quella sofferenza tra la categoria della malattia ma anche gli adeguati e corretti sistemi di cura e terapia. Allora, col Progetto "Contraria-Mente" mi pongo ancora in un’altra occasione, tra tutti quelli che la vogliono finire di squartare, di scindere, di schizzare l’individuo, in soffio e fango, l’animale uomo in anima e macchina, in anima e corpo, in psiche e corpo, in mente e corpo, in interno ed esterno, in sotto e sopra, in avanti e dietro, in corpo e ambiente, in natura e cultura. È per questo motivo che guardo con simpatia alla filosofia olistica, alla filosofia olografica, alla filosofia della complessità, alla filosofia relazionale. È per questo motivo che, con altrettanta forza, con profonda antipatia e disprezzo guardo alla filosofia del dominio, del potere, delle utilità. Così mi pongo tra coloro che vogliono andare oltre la malattia, oltre la non-malattia, per ritrovarmi e incontrarmi persona tra le persone, con storie, culture, esperienze, conoscenze, vissuti diversi. Tra tutti coloro che nell’incontro empatico con la persona cercano la non-malattia e il superamento della stessa nella prospettiva di un superamento anche della sofferenza.
L’aver delegato la sofferenza del corpo (e se non è del corpo che sofferenza è?) all’istituzione medica, la sofferenza della psiche alla medicina psichiatrica, la sofferenza dell’anima a preti vari e alla chiesa ha privato tutti noi individui della possibilità di sapere e capire quali siano i rimedi che possiamo da noi stessi trovare per prenderci cura di noi stessi, per autogestire la nostra salute e la nostra malattia e la nostra sofferenza. Non solo, messi nella condizione di non capire più niente di noi stessi, ci ritroviamo nelle mani di una istituzione medica psichiatrica che o niente capisce di noi ma ci tratta come se avesse la verità a portata di mano o, se di noi qualcosa ha capito, oltre a non riuscire a fare niente di buono, come ha già dimostrato storicamente, riesce perfino ad attribuire alla propria scienza un miglioramento della nostra salute che proprio quella scienza non è in grado di spiegare.
Per fortuna, poi, incontriamo delle persone che ci sanno aiutare e non ci stupisce se qualche volta possono essere stati anche psichiatri o semplici medici con anni di manicomio alle spalle; qualche altra volta abbiamo incontrato perfino psichiatri che ci hanno aiutato nonostante la psichiatria ma non per questo la psichiatria ha ai nostri occhi maggiore occasione di stima e di scientificità. Altre volte ancora la nostra intuizione, la nostra cocciutaggine, la relazione empatica sviluppatasi e mantenuta con chi ci è stato più vicino hanno fatto sì che sfuggissimo alle mani della psichiatria che tante buone cose non ci aveva promesso. È quello che è successo alla protagonista de L’Analista Analizzato.
L’esperienza narrata dalla dottoressa Amato è una via d’uscita personale dalla sofferenza nonostante la psichiatria e una via di fuga dalla sofferenza indotta dalla stessa psichiatria.
L’uscita dalla sofferenza è sempre un processo e un percorso personale. L’analista Analizzato, proponendo un’esperienza personale che ha funzionato per la protagonista della testimonianza romanzata, se vuole essere uno spunto critico e di riflessione su quanto noi stessi, in prima persona, possiamo fare per uscire dalla nostra personale sofferenza e da quella indotta dalla psichiatria, non pretende di volersi proporre nello stesso tempo quale percorso valido per tutti coloro che, spinti da un’incomprensibile quanto non diversamente risolvibile angoscia e sofferenza, vengono, dall’acritica cultura attuale, spinti nell’abbraccio soffocante della psichiatria. Il Progetto “
Contraria-Mente” con la dottoressa Maria Amato si chiede: chi, che cosa, dove e come oltre la psichiatria che diagnostica ma nega la malattia, oltre la negazione della diversamente diagnosticata malattia, oltre la stessa non-malattia?
Tutto ciò nella prospettiva del superamento della “malattia” della stessa “non-malattia” verso la riappropriazione e l’autogestione della propria sofferenza e della propria salute.

Grazie per l’attenzione.


Gaetano Bonanno


Santo Stefano di Camastra 15 Dic. 2007

Maria Amato
L’ANALISTA ANALIZZATO
Edizioni Progetto Cultura
Marzo 2007

http://www.progettocultura.org/

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