mercoledì 27 febbraio 2008

DEPRESSIONE

ISPETTORE DI POLIZIA TOGLIE IL DISTURBO

È il potere della malattia. Il terrore, se questa si chiama “malattia mentale”. Sempre in agguato quando deve classificare tutto quello che facciamo di poco gradito alla cultura e alla verità ufficiale. Non la malattia, ché niente c’entra, ma l’uso che di essa ne fa lo psichiatra, più o meno ambulante, con la sua diagnosi.
Una poliziotta decide di spararsi in bocca dopo avere sparato in testa alla sua figliola di nove anni. E cosa può essere se non depressione? Che anche un poliziotto uccide e per di più senza chiedere permesso a nessuno può rivolgere l’arma contro se stesso?
È l’insopportabile destino della dignità che, anche se nella sua unica comparsa nella vita di un individuo, trova sempre qualcuno pronto ad annientarla e squalificarla.
A turno, in un flusso relazionale, tra lo psichiatra, il giornalista, si trova sempre una malattia mentale che tutto spieghi con la calorosa benedizione di santa madre chiesa. Chi si toglie la vita è solo perché deve avere una malattia mentale. Una depressione. Specie in quel suo non chiedere niente a nessuno. Se l’arma più che contro se stessi è rivolta altrove siamo difronte un eroe nazionale. E di eroi ne hanno dichiarati tanti. Le hanno diagnosticato una depressione. Non certo nei laboratori della scienza medica. Nei cortili dello stigma coltivato dalla psichiatria.
Un poliziotto armato può avere una malattia mentale? La cecità della fregola della diagnosi non guarda a conclusioni. Nemmeno quando squalifica un’azione che, pur nella sua luttuosità, in relazione a questa società di morte, ha perfino una sua dignità che non alza il dito a chiedere permesso.
A proposito. La diagnosi di malattia mentale se non squalifica che fa?

http://www.incompatibile.altervista.org/index.php/lincompatibile-giornale.html

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