sabato 15 marzo 2008

COME SI NEGA LA «MALATTIA MENTALE»

Masino
Quando gli permettevano di guadagnarsi un pezzo di pane faceva l’operaio. Per il resto le sue braccia erano in affitto tra l’angoscia della sopravvivenza giornaliera, la paura di perdere anche quel po’ che aveva e la speranza che qualche mese glielo facessero ancora fare. Questa è depressione. Una condizione coinvolgente l’individuo e la sua famiglia che è più che una malattia mentale.
Qualche giorno fa Luigi Roca si suicida nel canavesano. Dopo una vita tra stenti, sacrifici, speranze, in un situazione di continua incertezza del lavoro già non ce la faceva più. La comunicazione che non avrebbe ripreso a lavorare come lui sperava non l’ha retto più. Spiega il suo gesto come il conseguenziale sbocco di una condizione che caratterizza una popolazione di precariato. Lungi dal negare la malattia della depressione, la lotta, nei confronti della quale non sembra avere desistito fino all’atto estremo, rappresenta uno sbocco diverso sia alla depressione che alla morte stessa.
«Il suicidio può rappresentare l’esito infausto di alcune gravi patologie psichiatriche – prima fra tutte la depressione.»
Luigi Roca, ufficialmente, s’è suicidato o se n’è andato ucciso da una certa modalità del lavoro.
Ha denunciato una macchina per resistere alla quale devi essere superuomo. Se non sai resistere, per non soccombere del tutto, ti prende una specie di febbre del disagio: hai la depressione.
A questo punto il problema è come uno se la fa passare la depressione o come prova a tenerla sottocontrollo
Ha scritto: «In questo tipo di vita serve una forza che io non ho. (…) Non ce la faccio, ho perso lavoro e dignità.»
Che c’entra la psichiatria con la morte di Roca? Niente. È solo quel suicidio che la tira in ballo sulla giostra della memoria per il legame che, da sempre, la psichiatria ha creato, ritenendo che ci fosse, tra suicidio e depressione. Non c’è verso che uno, una mattina, si sia alzato e abbia potuto decidere di voler morire come più avesse gradito e come più avesse preferito, senza che la psichiatria ne avesse fatto un caso di malattia mentale, di depressione. Ma se la psichiatria giura che qualcosa c’entra dobbiamo veramente dargli fiducia. La “P11” carente. È la depressione che si traduce in una carenza di “P11”. Il suicidio nella smorfia psichiatrica è un segno di depressione. Se il problema medico della depressione consiste in una carenza di “P11”, lo psichiatra ti potrà dare un farmaco a base di “P11”, ti può controllare affinché il tuo fare non viri verso il maniacale, ma più di questo non può fare. S’illuderebbe chi s’aspetterebbe di più.
Cosa potrebbe mai fare di più lo psichiatra? Niente né lui né nessuno di quelli che non hanno avuto né il coraggio né la dignità di ascoltare Roca che meglio di tutti sapeva da dove proveniva quella depressione. Il problema non è certo dello psichiatra ma di chi si aspetta che per la sua depressione possa ricavarci più che una pillola o un elettroshock quando questa si sia protratta oltre ogni sopportazione. Lo psichiatra fa il medico. Il medico cura la malattia. La depressione è una malattia. La psichiatria niente c’entra con mondo del lavoro né questo con quella. Lo psichiatra ti cura la depressione evitando perfino che ti possa suicidare… cosa dovrebbe fare di più? Allora diventa perfino una questione di vera e propria ingratitudine che abbiamo nei confronti della psichiatria. Non siamo forse ingrati? Credo che Roca abbia voluto raccontare qualcosa ai depressi di tutti i tipi. Qualcosa che continua a rimanere fuori dalla portata sia della psichiatria che della giustizia.
Chi ha ucciso Luigi Roca?
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