mercoledì 17 marzo 2010

DA FERRARO A LOMBROSO E VICEVERSA

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La Stampa di regime di qualche mese fa, tra i vari fuochi fatui di un’informazione mistificata dove non del tutto controllata, vietata dopo la severa repressione d’ogni libero pensiero e d’ogni dignitosa libertà di parola, lascia trapelare la notizia di uno psichiatra, un certo Ferraro, direttore di Manicomio Criminale, accusato di false diagnosi psichiatriche che sarebbero dovute servire ad aiutare un boss. Un fatto, se esce dalla sua silente routinarietà è perché ha la pretesa della notizia e niente più.
Che i Manicomi Criminali massacrano la povera gente e garantiscono uomini di Potere, direttori compresi, non è una notizia.
È una notizia che i Manicomi Criminali attualmente governano a pieno regime ancora sulla vita di un’enorme massa d’individui che di tutto ha bisogno tranne che d’essere seppellita viva in un manicomio?
Che, indipendentemente da uno o un altro boss, le diagnosi psichiatriche pendolano tra una storica falsità e una creazione di sana pianta è una notizia?
È notizia che un fatto di Potere, non metaforico ma nella sua concretezza di sofferenza, sangue e morte d’individui d’ogni età, in un quotidiano ping pong tra democrazia e riformismo si sciolga in scipito fumo senz’arrosto?
Quale sarà mai questa notizia?
Eppure al di là della notizia, fuoco non meno fatuo d’ogni silenzio, qualcosa ci cava gli occhi: la continuità del regime del tempo di Lombroso con quello del tempo di Ferraro. Di entrambi la filosofia massima è quella della difesa della società finalizzata alla difesa e la garanzia della pace sociale. I mezzi hanno cambiato solo nelle loro sfumature in un fine comune che li giustifica.
«la delinquenza e la follia sono stati morbosi dell’individuo (...) entrambi disturbano l’equilibrio sociale, (...) l’esigenza primaria è la difesa sociale; il carcere per i delinquenti e il Manicomio per i folli sono quindi da ritenersi la giusta medicina per la cura di affezioni patologiche.»
Agli inizi del ‘900, Rusticucci, studioso dei manicomi Criminali del Regno, in un Manicomio incontra Gennaro De Marinis, ritenuto camorrista, di cui così scrive: «“Vive una vita invidiabile per un condannato; una vita piena di comodi e di mollezze. Trascorre le sue giornate come un gran signore. La sua cella si è trasformata in una camera linda, arieggiata, profumata, piena di ninnoli, arredata con fine ricercatezza, con fotografie e immagini”
Tanti schifiltosi, indifferenti se non sostenitori, se non indifferenti sostenitori di Istituzioni Totali comunque chiamate, estimatori della Giustizia che altro non produce che Carceri e Manicomi, pennivendoli per la pace sociale, per la sicurezza della società, sempre pronti ad ogni sacrificio altrui e non certo proprio, in definitiva eroi dell’autoritarismo e blanditori dei Governi che si susseguono, altrimenti definibili fervidi amanti del coito anale prestato al Potere d’ogni turno, quando incontrano un mafioso custodito in un Manicomio si scandalizzano? Fanno parte solo di quella numerosa schiera che, dopo d’aver affidato la loro mente al Potere, pensano ancora di poter differenziare una modalità di Potere dall’altra distinguendo nello stesso tempo un Potere dall’altro; sono quelli che pensano, e non a caso, che le Mafie e le politiche e i Governi siano cose diverse e non organizzazioni che operano in una stessa logica comune e condivisa. Sono quelli che ritengono di potersi schierare contro le Mafie senza schierarsi contro i Governi e gli Stati e che si schierano a favore degli Stati lasciando credere di starsi schierando contro le Mafie.
Nella stessa, identica e comune inutilità della vita che non concede sconti a nessuno, siamo situati su punti di vista diversi ma anche in una cornice metodologica diversa.
Alla base delle più terribili tragedie umane troviamo non gli asteroidi né i terremoti né le pestilenze. Troviamo il concetto e la politica della “sicurezza sociale” o almeno le modalità con la quale tale concetto viene tutt’ora utilizzato dai governi: nessuno ci può salvare da un terremoto ma il Governo ci può garantire dai mali sociali garantendo la sicurezza sociale. Il discorso s’imperniava sul “danno alla società”, concetto che immagina e presuppone che in una società fondata sul Potere (Regno d’Italia, nel periodo di Lombroso; regno di Giorgio III, nel periodo dell’Insane Offender’s Act) esemplare, inattaccabile, ineccepibile il primo e più pericoloso detrimento sia il danno apportato da certi individui per l’esclusione dei quali si creano già apposite categorie di “delinquente”, “folle”, “folle delinquente”. È sotto un tale vessillo che corre il concetto e la politica di “sicurezza sociale”.
Lombroso è stato pioniere di una metodologia autoritaria applicata in verità non tanto alla cura delle condizioni di Disagio Relazionale quanto alla produzione di pace sociale in vista della quale fornisce il Dominio di una teoria del controllo che prende a pretesto la follia e la delinquenza dopo averle dichiarate malattie ma anche prima d’averle dimostrate come patologie.
Tra leggi, alienisti, tribunali, governi si sono contesi la modifica di varie leggi che hanno comunque lasciato inalterato l’impianto lombrosiano e il Manicomio Criminale fino ai nostri giorni.
Un impianto di base, raccontato e descritto con metafore varie, ma fondamentalmente di Potere che non ha mai visto nei suoi uomini, e non poteva, una dignitosa critica della relazionalità alla base dei rapporti istituzionali che sostengono il Manicomio. La metodologia di Potere e autoritaria di Lombroso ci ha portato fino allo psichiatra Ferraro. L’occasione di Ferraro che ci parla di criminali custoditi nei Manicomi con diagnosi psichiatriche a regola d’arte ci riporta alla metodologia di Lombroso mostrandocela in tutta la sua ferocia, in tutta la sua attualità e in tutta la sua feroce attualità. L’uno richiama l’altro in quanto espressione di un’unica logica di Potere e delle Utilità, alla cui difesa continuano a concorrere Carceri e Manicomi Criminali.

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